Riceviamo da Valeria Bruccola, Segretaria della Federazione provinciale di Viterbo Sinistra Italiana/AVS, e pubblichiamo
Seguita drammaticamente da molte province del centro-sud, la provincia di Viterbo si distingue negativamente per il tasso di occupazione femminile, comunque tra i più bassi d’Italia, poco più del 35 per cento della popolazione femminile in età lavorativa. Ben al di sotto della media europea, che si attesta con variabili locali intorno al 75 per cento, è rilevato in un contesto, come quello italiano che ci vede globalmente dieci punti al disotto della media stessa. Questo dato, sempre nella nostra provincia, coincide in modo preoccupante con altre tendenze negative: lo spopolamento dei piccoli centri, la mancanza di servizi per la cura della persona, l’insufficienza cronica delle strutture per la primissima infanzia, come gli asili nido, la drammatica situazione del trasporto pubblico locale, questioni apparentemente indipendenti tra loro ma, a nostro avviso, legate a doppio filo, se si pensa che sulle donne, quotidianamente, ricade quasi interamente il peso della gestione domestica e familiare. Nella totale assenza di supporti per consentire alle donne di intraprendere una vita lavorativa serena e di poterla conciliare con la realizzazione di una famiglia, buona parte delle donne “sceglie” di rinunciare ad una occupazione, alla ricerca dell’indipendenza economica, a sottrarre, oltre al tempo del lavoro, anche il tempo per gli spostamenti che, nella provincia di Viterbo, talvolta equivalgono a vere e proprie odissee. La retorica conservatrice che trova nella provincia di Viterbo un terreno culturalmente fertile, quindi, si avvale della complicità istituzionale e dei servizi, pressoché assenti o carenti, che di sicuro non fanno l’interesse di nessuno, nemmeno di quelle realtà che si millanta di curare o favorire, come le cosiddette “famiglie tradizionali”.
Se si pensa di poter liquidare così il problema dell’uguaglianza e delle pari opportunità alle donne, relegandole in casa, si commette un grossolano errore, dal momento che i nodi, prima o poi verranno al pettine. Le giovani donne, ad esempio, che in controtendenza rispetto alle donne più mature, puntano agli studi per tentare la strada dell’emancipazione e dell’indipendenza lavorativa ed economica, aspirando ad uscire dalla provincia per trovare la loro occupazione, a volte nemmeno tentando di trovarne una nei dintorni di casa. Il tasso di attività, inteso come la richiesta di lavoro, probabilmente potrebbe permettere di alzare il dato dell’occupazione femminile, ma spesso si tratta di lavoro poco qualificato, anche questo fattore che scoraggia la ricerca e che è in contraddizione con la retorica dell’emancipazione femminile che passa dalla promozione delle discipline STEM, ad esempio, tutt’altro che promosse in termini occupazionali poi nella realtà lavorativa provinciale.
Quale ricetta proporre per questo grave problema? Sicuramente la pratica dello smascheramento è un primo passo, perché la mistificazione fa già di per sé gravi danni, illude e non risponde agli inviti allo sviluppo e alla crescita, gli unici parametri guardati da più parti, ma sempre e comunque disattesi. E una volta che lo spopolamento continuerà inesorabile, quale sviluppo potrà avere questo territorio, se nemmeno si denunciano le questioni e stancamente, in modo rassegnato si va avanti sulla strada tradizionale tracciata? Sicuramente la questione non è semplice, nemmeno di immediata soluzione, ma se nemmeno la si considera come questione e si continua a mettere la testa sotto la sabbia, avremo una provincia sempre più “anziana”, senza continuità, senza rinnovamento, senza futuro!