#extraconfine è una nuova rubrica de lextra.news che cerca, spera, sogna di raccontare le storie di un po’ di italiani sparsi per il mondo: partendo – come è partita l’avventura giornalistica del sito – da Tarquinia ed andando a caccia di belle realtà da condividere. Con una regola: ad ogni protagonista il compito di indicare – come in una catena – il nome di un’altra persona #extraconfine, di un’altra storia che meriti di essere raccontata.
Qui il link per l’archivio delle storie
“Ho sempre voluto andare all’estero. Ricordo che da piccolo era affascinato dalle lingue straniere e dall’idea di capire come le persone vivessero la propria vita in luoghi diversi dal mio”.
#extrareporter fa tappa oggi in Brasile e va a trovare Emanuele Marca, 39 anni, da diciotto dei quali lontano dall’Italia e da sei nella città più “italiana” del paese verdeoro, con quasi sei dei dodici milioni di abitanti che vantano discendenze dalla penisola: São Paulo del Brasile (dove già, per noi, aveva qualche anno fa raccontato l’esperienza dei Mondiali di calcio e quella delle Olimpiadi).
“Quella che mi porta qui è una lunga storia – continua il racconto – che attraversa dieci paesi tra Europa e Americhe. La prima esperienza di vita fuori fu in Francia per l’Erasmus e da lì ne sono seguite tante altre in posti anche piuttosto esotici come Turchia, Ungheria o Colombia. Più recentemente, dopo un master in business in Spagna, Citibank, un grande gruppo bancario americano, mi ha contrattato per vari progetti in Nord e Sud America con base principalmente a San Paulo in Brasile, dove appunto vivo da 6 anni”.
Oggi, più nel dettaglio, Emanuele lavora in Stripe, “una Fintech Californiana della Silicon Valley che si occupa di pagamenti e che sta espandendo in America Latina”, per cui gestisce le relazioni con i partner finanziari in tutta la regione. E torna in Italia due volte l’anno, “per Natale e intorno a Ferragosto, a volte per Pasqua”. Perché lo spirito e il gusto della scoperta di nuovi angoli del mondo si mescola al piacere di ritrovare i propri posti del cuore. “Onestamente – spiega in proposito Emanuele ripercorrendo questi suoi anni tra Europa e America – la voglia di scoprire il mondo è stata sempre qualcosa di fortemente voluto, quindi al netto della nostalgia per famiglia e amici d’infanzia non ho incontrato grandi ostacoli: ma sono proprio quegli affetti ciò che, se penso all’Italia, mi manca di più”.
Anche perché essere italiano, a San Paolo, è tutt’altro che un ostacolo: “Ho avuto la fortuna di vivere in contesti in cui ho sempre percepito molta ammirazione per l’Italia, – spiega Emanuele – ad eccezione dei vari commenti sulla politica! A San Paolo ci sono 6 milioni di discendenti italiani. La discendenza dal Bel Paese è percepita come un vanto e quelli che riescono ad ottenere il passaporto, lo ostentano come appartenenza ad una sorta di aristocrazia”.
“Alla fine tutto il mondo è paese. – continua – A Tarquinia, la città dove sono nato e cresciuto, ho imparato a conoscere e trattare con varie tipologie di persone che in fin dei conti, al netto di alcune differenze culturali, ho ritrovato nei contesti più disparati. Di certo c’è che, nonostante tutto questo tempo passato fuori, mi sento sicuramente più italiano e in realtà, da questo lato del mondo, mi sento orgogliosamente europeo”.
Ma guardandola da fuori – e al netto di affetto e nostalgia – cosa cambieresti dell’Italia? “La risposta è forse un po’ scontata, ma è la mentalità che dovrebbe cambiare: il mondo corre, cresce, si interconnette e l’ Italia si arrocca, pensa al breve termine, respinge il nuovo, il diverso. L’italiano medio è costantemente occupato a fare guerra a chi gli sta a due palmi dal naso invece di fare squadra e sistema, si lascia abbindolare da beceri politicanti e il paese si ritrova ad essere il palco di una triste guerra tra poveri messi gli uni contro gli altri. Fondamentalmente è un problema di provincialismo”.
La chiacchierata scivola poi su temi più leggeri, eppure entusiasmanti come quelli che riguardano il cibo. “A quale piatto del Brasile non vorrei proprio rinunciare, se dovessi lasciarlo? La Moqueca, che è una zuppa di pesce in latte di cocco e olio di dendê, e soprattutto i frutti spettacolari con cui si preparano delle Capiroske eccezionali, tipo il maracuja, il caju, la jabuticaba, l’ acerola, etc”. E quali piatti italiani, invece, ti mancano di più? “Carciofi alla giudia, supplì, salmì, lumache al sugo, puntarelle alla romana, spaghetti alle vongole veraci, pollo alla cacciatora, impepata di cozze, acqua cotta: ne suggerisco più di uno, così i miei si organizzano in tempo per quando torno!”
Ma se pensi al futuro, ti capita di immaginare di ritornare a vivere in Italia, magari alla fine della carriera professionale? “Più che altro nel futuro mi vedo inseguire l’estate. – risponde Emanuele – Quindi ritornerò per periodi più lunghi ma durante la bella stagione”.
L’ultima domanda, come da “rituale” della rubrica, invita Emanuele a rinnovare il nostro gioco di “caccia” alle belle storie di italiani all’estero, chiedendogli il nome di qualche connazionale che gli piacerebbe vedere intervistato. “Secondo me Giulia Piccioni ha delle storie bellissime da raccontarvi…”
#extraconfine
Nome: Emanuele
Età: 39
Dove vive: San Paolo del Brasile
Professione: gestione relazioni con partner finanziari
Distanza da casa: 9.440 km