di Stefano Tienforti
Musici, danzatori, scene di caccia, la corsa di una biga: la vita quotidiana etrusca raccontata da immagini e colori, in un’esperienza che non sia solo visiva, ma didattica, emozionale, sensoriale. Guido Sileoni racconta in esclusiva per lextra.news l’opera che da qualche giorno ha iniziato a realizzare lungo via le Rose, spiegandone filosofia, genesi e obiettivi.
“Innanzitutto – esordisce Guido – iniziamo a chiamarlo in modo giusto: murale, e non murales. Una forma d’arte che trova i suoi esempi più autorevoli nella tradizione sudamericana, dal Messico al Cile, ma che in quei contesti assume più i contorni di rivoluzione e protesta, uno strumento di denuncia e di libertà. La mia idea per Tarquinia, invece, è qualcosa in ambito più conoscitivo, didattico”.
Così lungo uno dei principali ingressi della città scorreranno immagini della vita quotidiana etrusca, “della parte arcaica della storia di questo territorio, l’Etruria bucolica con i suoi simboli di vita e di potere”. Immagini frutto di uno studio per una parte riferito a scene rappresentate negli affreschi delle tombe delle nostre necropoli – “una infinita sorgente di racconti di come originariamente eravamo” –, per un’altra con cenni espliciti a molteplici dettagli pertinenti col materiale archeologico presente al museo. “O che è altrove nel mondo, ma che appartiene tuttavia al territorio in quanto luogo di ritrovamento avvenuto per mezzo di scavi”.
Un progetto, insomma, “che conserva un carattere squisitamente artistico, per quanto stilisticamente personalizzato e con qualche licenza poetica della quale mi assumo ogni responsabilità artistica, ma che attiene irreprensibilmente alla realtà storica e archeologica sia di Tarquinia, sia del resto del territorio civilizzato dagli etruschi. Grazie anche all’indagine storica e filologica, nonché linguistica, supportata dal preziosissimo contributo della dottoressa Lorella Maneschi”.
Proprio una delle “licenze” interpretative aprirà il ciclo delle immagini, la cattura dei Cavalli Alati che dal mito ellenistico di Pegaso cambia sino a vedere protagonisti due cavalieri etruschi. “In fondo il mito è anche modifica del racconto attraverso l’interpretazione – spiega Guido – e questo è un compito che rientra nelle responsabilità e nel ruolo dell’artista”.
Iniziata nei giorni scorsi l’opera di tracciamento del disegno – grazie al supporto di un proiettore che ha attirato la curiosità e l’attenzione di non pochi concittadini – Guido conta di terminare l’opera entro la fine dell’inverno. “In realtà tutto doveva svolgersi la primavera scorsa e l’idea è partita nell’estate precedente dal sindaco Alessandro Giulivi e dall’assessore Martina Tosoni. Allora abbiamo individuato il muro e ho iniziato a ristudiare sui libri l’arte e la tradizione etrusca. Al tempo ero ad Amsterdam, e credo che questa distanza, questa nostalgia abbiano fatto da carburante per l’immaginazione”.
Il primo pensiero è stato per un ciclo di quadri che raccontassero il mito di Tagete, ma per quel tipo di location si è pensata una soluzione meno narrativa, con il progetto originario che resta nel cassetto per una possibile realizzazione futura. A quel punto, Guido ha fissato gli obiettivi, i concetti attorno ai quali muovere matita e colori.
“Siamo in un territorio che ha sempre prodotto bellezza, da millenni – dice, rivolgendo lo sguardo dal belvedere dell’Alberata verso il colle della Civita – ma che ormai crea più poco, osserva meno, sembra aver perso il senso del gusto che è stato invece caratteristica di rilievo nel mondo etrusco. E allora offriamoci la possibilità di riacquistare questo senso dell’estetica, la raffinatezza etrusca. Riabituamoci a vedere quei soggetti simbolici , rieduchiamoci alla conoscenza delle immagini, fissiamo di nuovo nell’immaginario della comunità non solo i gesti e le storie, ma anche le posture, i colori, quasi i sapori di un popolo che aveva un senso del gusto così raffinato”. Una nuova opportunità educativa che sia gradevole e potente al contempo, come forse solo l’arte riesce efficacemente ad essere; “uno strumento di restituzione di remote sensazioni e di nuove fascinazioni, ma anche al servizio della memoria storica e della tradizione culturale dalle quali abbiamo il dovere di attingere quotidianamente i diversi insegnamenti che ne derivano”.
Gli etruschi come “collante identitario di una intera comunità, che infonda in chi fruisce di tali opere una maggiore consapevolezza delle proprie radici e della propria storia e sull’importanza di un’appartenenza culturale da preservare, rispettare e conservare”. Con un pensiero anche alla difesa del territorio, “il carattere di rispetto per la natura che viene da un passato in cui ci si riteneva custodi, e non padroni dell’ambiente in cui si vive. Per sconfiggere i grandi mali di questo tempo, torniamo su quei passi, riscopriamo il legame con questa terra e questo territorio. Lasciamo che i simboli, i personaggi e lo spirito degli Etruschi diventino testimoni di questa urgenza di conservazione di uno sterminato patrimonio culturale, artistico e paesaggistico”.