di Vincenzo Cipicchia
PARIGI – Sono le 2 e 30 e finalmente riesco a sapere cosa é successo in questa follia di serata parigina; dormivo ed é mio figlio che mi ha svegliato telefonandomi perché preoccupato dalla sparatoria a rue Bichat, vicino a dove abito.
Mi alzo incuriosito per accendere la tv ed ascoltare il notiziario ma non faccio in tempo, guardo in basso dalla finestra e vedo girofari e ambulanze, mi affaccio e capisco dalle radio della polizia che anche qui stava accadendo qualcosa; proprio in quel momento il mio telefono comincia a ricevere notificazioni di messaggi, li ignoro e comincio quindi a filmare e a pubblicare su Facebook la cronaca di quello che accadeva. Nel frattempo la polizia sgomberava tutti i locali della piazza, anche con maniere assai brutali, e creava una barricata all’imbocco della rue Oberkampf, verso il Bataclan quindi, poi un primo momento di panico per sincerarmi che tutti i miei affetti non fossero coinvolti. Dal balcone comincio ad ascoltare le radio della polizia e capisco che dalla rue Bichat la scorribanda del terrore si é allungata verso Bastiglia, vicino, tra parentesi, alla sede di Charlie Hebdo per poi entrare al Bataclan, sede di concerti, e prendere in ostaggio il pubblico.
Gente che corre da tutte le parti spinta da poliziotti in borghese, grida e sirene, luci rosse, blu e gialle, non riesco a pensare e nemmeno a rispondere ai messaggi inquieti che mi arrivano, preso com’ero dall’agitata eccitazione di questo mio momento voyeuristico – lo so, la natura umana é quello che é e non ho potuto esimermi dal morbosamente curiosare – in un attimo tutti cominciano ad agitarsi e vedo code di uomini in tenuta da combattimento che risalgono la strada verso il Bataclan ed altre truppe che scivolano nella rue Amelot, dove ci sono le uscite di emergenza, credo, si sentono tanti rumori differenti che credo spari, e subito arrivano decine di ambulanze.
Dalle radio si sentono i commenti di ribrezzo dei poliziotti che, dicono, camminano sui corpi della gente rinchiusa all’interno e in quel momento una processione di barelle comincia a discendere la rue Oberkampf, solo ora mi rendo conto di quello che sto vivendo e me ne dolgo.
La visione della quantità dei corpi che sono dirottati verso le ambulanze é spaventosa e richiama visioni apocalittiche di una realtà che non sono abituato a toccare con mano malgrado i miei viaggi in paesi come la Palestina dove la guerra é parte del quotidiano. Cerco di dormire ma solo questa mattina verso le 5 i rumori cominciano a scemare.
Stamani ascolto i resoconti più chiari sulla successione di sparatorie e mi riempio di rabbia per la cieca e bieca azione di questi tipi che sfruttano l’uccisione di persone innocenti per scopi che non mi sono veramente chiari, ma che ritengo oggettivamente futili e crudeli: non sono soldati di una guerra santa come affermano ma criminali «tout court».
Mi é molto difficile costruire un pensiero completo questa mattina, troppa rabbia soprattutto,
ma da una parte anche solo parlarne, farne il centro dei nostri scambi d’opinione e mostrare quanto sia traumatizzato mi sembra vada nel senso nascosto dietro queste stragi; dall’altra, fare finta di niente, credo, esalterebbe invece l’individualismo a detrimento della comunità, la via dell’egoismo e dell’isolamento. In un caso come nell’altro, saremmo perdenti.
Comunque sia, nel primo caso, almeno c’é amore: amore per la democrazia, amore per i veri valori sociali, amore per la libertà d’espressione.
Qualora vi sembri ingenuo esaltare questi valori in un mondo dominato dall’individualismo, é che sono persuaso che un giorno questi stessi valori rinasceranno dalle loro ceneri : per questo motivo non cambierò le mie abitudini, sarebbe darla vinta a chi utilizza il terrore come arma di controllo della massa, ed esco quindi a prendere un caffé.