(s.t.) Dopo un paio d’anni di disaffezione, ieri mattina sono tornato a vedere il tennis: e come si poteva mancare un’occasione come quella? Re Roger che, a 35 anni, dopo una lunga inattività per problemi fisici ed a cinque anni dall’ultimo trionfo in uno slam, torna a giocarsi una finale all’Australian Open con il suo rivale storicamente più iconico, Rafa Nadal, anch’esso risorto da una manciata di annate tennisticamente buie.
Prima confessione: io Federer non lo tifo. Non l’ho mai tifato. E questa sorta di imbarazzato outing tennistico provoca sempre una bella dose di insulti più o meno diretti, come se uno il tifo lo dovesse per principio o per stima.
Stima, infatti, per Federer ne ho una marea: come si fa a non averne per uno così, che quando gioca riesce a mettere assieme la semplicità con l’eleganza ed a tirarci fuori quell’efficacia. Però non l’ho tifato mai, perché a me non piace nemmeno Topolino e Roger Federer, per me, è proprio come lui. Come Topolino. Il primo della classe, quello che non toppa mai, sempre corretto, famigliola a posto, distinto, elegante e con stile.
Seconda confessione (quasi di riflesso): tifo Nadal da quando – era una finale a Miami nel 2004 – lanciava i primi segnali, e perse in finale proprio contro Roger; la loro prima finale, quella, e chissà se quella di ieri è stata l’ultima, quasi dodici anni dopo.
Ma ieri non era più una questione di tifo: ieri era un evento che dallo sport è sforato quasi nel cinema. Un film, che ha portato in sala tutti coloro – e sono tanti, più generazioni – che hanno avuto il privilegio di viversi e godersi anni di tennis fantastici, con i duelli tra quei due e – sino a che non ha iniziato a dominare – l’ascesa di Djokovic. Praticamente dieci anni di spettacolo, agonismo, intensità dalle vette estreme.
Vette che, ieri – ma qui parlo per sensazione personale, senza alcuna pretesa tecnica – non si sono toccate se non a sprazzi, compreso uno scambio decisivo al penultimo game che resterà nella storia di questo sport, e forse anche dello sport in generale. Ma, ieri, più che tutto, contavano classe e voglia: quest’ultima, soprattutto, ha fatto la differenza, e lo dimostra il volto di Federer in quell’ultima esultanza.
Perché questa finale c’è piaciuta così tanto? Per mille motivi, almeno 900 dei quali prettamente tennistici. Ma anche perché – e questo fa parte degli altri 100 – rivedere quei due in campo al più alto dei livelli agonistici – l’uno con le rughe, l’altro con la metà della chioma che aveva –, ritrovare le rispettive compagne ansiose nei box, rivivere le passioni ci ha riportato indietro nel tempo: ci ha fatto, insomma, risentire (più) giovani. E delle tante cose in lista di cui, noi appassionati, dovremo ringraziare Federer e Nadal, questa è una bella novità.