Riceviamo da Stefano Aviani Barbacci, collaboratore di Semi di Pace, e pubblichiamo
Come tutti sanno un terremoto di inusitata potenza ha colpito pochi giorni fa una vasta regione di confine tra la Turchia e la Siria. Si registrano gravi e diffusi danni ad edifici e infrastrutture e il numero
dei morti accertati cresce di giorno in giorno ed è stimato nell’ordine delle decine di migliaia. Moltissima gente è rimasta senza casa nei giorni che in quella regione sono i più freddi dell’anno.
Nel caso della Siria, tuttavia, la situazione è resa ancor più grave per le conseguenze della lunga guerra combattuta contro il terrorismo e a causa delle sanzioni che l’Unione Europea e gli Stati Uniti rinnovano contro questo Paese da ormai 12 anni. Questo embargo significa mancanza di energia elettrica (ad Aleppo solo due ore al giorno) per far funzionare qualunque cosa e per produrre il pane, carenza di carburante per la movimentazione dei mezzi e per il riscaldamento, mancanza di medicine essenziali e di strumentazioni mediche negli ospedali, carenza di cibo e di attrezzature per la rimozione delle macerie, per la ricerca delle vittime e per la ricostruzione degli edifici crollati o lesionati.
Quasi nulla resta del welfare e di un sistema sanitario giudicato fino al 2011 (anno di inizio della guerra) tra i migliori del Medio Oriente, largamente gratuito e accessibile a tutti. Da alcuni anni ormai, ogni inverno si porta via la vita di anziani e bambini denutriti, esposti inermi all’effetto delle basse temperature invernali.
Dopo il fallimento del “regime change” la Siria sembra come dimenticata, i Paesi occidentali l’hanno chiusa in un durissimo assedio che tutt’ora persiste. Non ha voce sui media (censurati) e quasi tutte le ambasciate nella UE e negli USA sono chiuse. Difficile inviare aiuti di qualunque tipo. In Siria non c’è più lavoro e, nonostante le battaglie vinte contro i gruppi armati illegali, i giovani sono tentati di abbandonare
la Patria e i familiari perché privi di prospettive e di speranza per il futuro. Tra questi anche i cristiani, tradizionalmente numerosi in un Paese che si distingue per la tolleranza religiosa e la protezione delle minoranze.
Molte comunità religiose presenti nel Paese hanno protestato per tanta ottusità e cinismo. Numerosi sono stati gli appelli (purtroppo caduti nel vuoto) ad interrompere l’embargo se non per motivi di giustizia, per ragioni umanitarie. A fronte della tragedia del terremoto, tali appelli sono stati rinnovati in questi giorni. Tra i primi a parlare il p. Bahjat Elia Karakach, francescano e parroco latino di Aleppo, che il
giorno stesso del sisma ha chiesto: “Rimuovete o sospendete le sanzioni alla Siria almeno per facilitare l’arrivo degli aiuti di cui abbiamo estremo bisogno” (Agensir, 06/02/23).
Parole che scuotono le coscienze sono state scritte dalle monache trappiste benedettine del monastero di Azer (vicino Lattakia): “Dove eravate in questi anni, voi che avreste potuto fare la differenza, quando giorno per giorno la nostra gente ha iniziato letteralmente a morire di fame? (…) Se le condizioni generali della gente non fossero state già così disperate, ci sarebbero ora più mezzi per scavare nelle macerie (…). Ci sarebbero ospedali più attrezzati, le farmacie fornite, più case per accogliere i rifugiati, ci sarebbero più persone con un lavoro e le risorse per aiutare i propri fratelli” (Ora Pro Siria, 08/02/23).
Raccogliamo questi appelli! Con pochi mezzi, la Siria ha fatto fronte ai tentativi di destabilizzazione, alla ferocia dell’ISIS, alla durezza estrema dell’embargo che le è stato imposto e ora affronta le conseguenze di un terremoto violentissimo. Una canzone molto popolare in Siria e in altri Paesi del Medio Oriente recita così: “Patria mia, Patria mia, ti rivedrò un giorno ancora sicura e fiduciosa, rispettata e onorata? Ti rivedrò un giorno risollevata fino a toccare le stelle?” (MAWTINI, da un poema di Ibrahim Abd al-Fattah Tuqan, rilanciata in questi anni dalla popolare cantante siriana Faya Younan). Ecco, aiutiamo questo Paese a risollevarsi, sicuro e fiducioso… Rompiamo il silenzio sulla Siria!