Sono trascorsi oltre cento anni dalla scomparsa di Tiburzi, ma lui rimane per tutti la leggenda vivente della Maremma. Si racconta che nelle notti di luna piena, battute dal vento gelido di tramontana, a cavallo di un argenteo sauro maremmano, il “re di Montauto e del Lamone” guadi ancora il fiume Fiora in cerca di un rifugio, in cerca di pace, dopo quella vita avventurosa ed errabonda, durata ben ventiquattro anni. Anni difficili che vanno dalla fuga dalle saline di Tarquinia (1872), alla morte nel casale delle Forane presso Capalbio (1896), senza considerare il periodo trascorso in libertà dall’omicidio di Angelo del Buono (24 ottobre 1867) alla sua cattura (15 settembre 1868), in piena epoca pontificia. Un brigante vissuto tra “due regni”, come ci piace ricordarlo, da Pio IX, sovrano dello Stato della Chiesa a Vittorio Emanuele II, re d’Italia.
Dopo il successo ottenuto in tutti i paesi dell’area maremmana, anche fuori della provincia di Viterbo, verrà presentato anche a Tarquinia, sabato 02 febbraio, alle ore 17.00 nella Sala Sacchetti di Palazzo dei Priori, il libro in ottava rima “Da Cellere a Capalbio. Fatti e misfatti del brigante Domenico Tiburzi” di Giuseppe Bellucci, autore anche delle illustrazioni e della copertina. Nato a Blera, l’autore è stato ufficiale superiore dei carabinieri. È cavaliere al merito della Repubblica. Collabora con giornali online e riviste periodiche con articoli e illustrazioni. Pittore e disegnatore autodidatta, in precedenza ha allestito mostre e conseguito premi. Ha sempre seguito con vivo interesse il fenomeno del brigantaggio maremmano attraverso letture e ricerche d’archivio. Tra le sue passioni, la cultura dell’ottava rima, scritta e cantata, merita un posto privilegiato. Ad accompagnarlo in questo viaggio tra le macchie sperdute che avevano visto Tiburzi dominatore incontrastato, Agnese Monaldi e Sergio Andreaus, poeti a braccio.