In cucina con Vittoria: le ricette del Carnevale

Vittoria Tassoni ci introduce al Carnevale e ci propone tre ricette tipiche della tradizione tarquiniese: le frittelle di riso, le castagnole e i ravioli di Carnevale.

decorazioni-tavola-carnevale-586x419Caratterizzato da colori e schiamazzi, il carnevale è considerato la festa dell’allegria per eccellenza: un fenomeno che può essere trattato in diversi aspetti, da quello storico-letterario a quello psicologico sino a quello religioso ed esoterico. Tanti sono, pertanto, i significati, gli usi e costumi della nostra vita sociale, anche i dogmi dell’ideologia predominante pongono le proprie radici nella religione cattolica.

Ma da dove proviene il termine “carnevale” e di quali concetti religiosi o valori morali è portatore? Secondo alcuni deriva dal latino: “carnem levare” – nel senso che la festa del Martedì Grasso prelude alla Quaresima, periodo in cui non si dovrebbe mangiare carne. C’è chi, invece, propone un’etimologia abbastanza affine alla precedente, richiamandosi al detto “carne, vale” (cioè: “carne, ti saluto”): si tratta però di una teoria poco attendibile al massimo potremmo parlare di una rimotivazione popolaresca del termine in questione.

 Più convincente è il riferimento all’espressione “carrus navalis” (tesi sostenuta dall’archeologo Hugo Winckler o dal poeta Karl Simrock), che rimanda a certe festività presenti nel mondo romano, ed ancor prima presso civiltà più antiche, come quella egizia o la babilonese. Questa teoria è avvalorata dalla circostanza che alcune manifestazioni tipiche dell’odierno Carnevale – e presenti in culture anche molto lontane e diverse tra di loro – appaiono molto simili, se non identiche, alle cerimonie arcaiche che le hanno precedute di millenni. A Babilonia dove si rievocava il mito cosmogonico narrato nel poema Enuma Elis, al culmine della festa si svolgeva una processione, nel quale l’elemento centrale era una nave montata su ruote che trasportava molti personaggi in maschera: giunti al tempio, le maschere scendevano dal carro e in quel momento un altro personaggio, che rappresentava la morte, toglieva a tutti la maschera ad indicare la fine del caos. L’euforia per il ritorno dell’ordine si fondeva arcanamente, in tale circostanza, con la rievocazione (solo in parte apotropaica) del caos primordiale: il periodo festivo era vissuto con libertà sfrenata, e con un capovolgimento dell’ordine sociale e morale che giungeva fino alla destituzione e alla derisione del sovrano.

Un’altra cerimonia simile diffusa in tutto l’Impero Romano dal II sec. d. C., rievocava invece l’originario mito egizio di Iside: molti secoli dopo, la sovrana Cleopatra avrebbe fatto breccia (a quanto si narra) nel cuore di Antonio, apparendogli a Tarso nelle vesti di Iside, su di una nave dalla poppa dorata e dalle vele di porpora. Comunque, la dea in questione ebbe un certo successo nella cultura romana, dopo che fu entrata in crisi la religione tradizionale: i festeggiamenti dedicati a Iside si tenevano (come quelli di Babilonia) subito dopo l’equinozio primaverile, in coincidenza col primo plenilunio. L’effigie della dea era trasportata sul Tevere, fino in riva al mare, su di un’imbarcazione adornata di fiori; la seguiva un corteo di altre barche cariche di gente mascherata, che intonava canti. Dopo il trionfo del cristianesimo la processione mascherata, estranea al rito cristiano, fu spostata invece a quaranta giorni prima – serbandone però la relazione con l’altra festa.

Esistevano, poi, nel mondo romano altre ricorrenze caratterizzate dall’uso delle maschere: i Saturnali, ad esempio, che cadevano nel periodo del solstizio d’inverno, erano in parte ricalcati sui riti dionisiaci della Grecia, dei quali condividevano la sospensione dei criteri morali e delle norme civili. Aspetto essenziale di queste feste era l’abolizione delle gerarchie: un vero e proprio rovesciamento dell’ordine, che lasciava libero sfogo a scherzi e dissolutezze. Il ciclo che aveva così nuovo avvio esprimeva, ancora una volta, lo sviluppo dell’anno solare.

Nel concilio di Nicea tenutosi a Costantinopoli nel 325 d C.fu stabilita una data per la Pasqua, la festa principale della cristianità. Il concilio stabilì che la Pasqua si festeggiasse la prima domenica dopo il plenilunio successivo all’equinozio di primavera, in modo quindi indipendente dalla Pasqua ebraica, stabilita in base al calendario ebraico. Il Vescovo di Alessandria (probabilmente usando il calendario copto) avrebbe d’allora in avanti stabilito la data e l’avrebbe poi comunicata agli altri vescovi.

Come festa popolare dal carattere pagano, conviene ricordare, anzitutto, che già nel periodo delle origini del Cristianesimo la festa, che allora aveva ancora il nome di navigium Isidis, aveva conosciuto l’opposizione delle prime autorità cristiane – in quel lontano periodo ancora laiche, e non ancora ecclesiastiche: gli imperatori convertiti Teodosio (391) e Arcadio (396) – opposizione che aveva fatto sì che in Italia la festa del navigium Isidis cessasse di essere celebrata nel 416. Per continuare però, come sappiamo, a livello popolare, e a dispetto dei divieti laici od ecclesiastici, con il nome di Carnevale.

Nel Medioevo, in particolare, i divertimenti carnevaleschi assumono un ruolo essenziale nella cultura popolare: rappresentazioni buffe, processioni, manifestazioni di sfrenata allegria occupano per giorni interi le piazze e le strade delle città. A tali feste tutti partecipano da attori, non da semplici spettatori: ognuno beneficia della rinascita collettiva e la vita rinnovata esplode in una libertà assoluta. Lo sfogo sessuale, come il bere ed il mangiare oltre misura, trascendono gli aspetti banalmente edonistici e (come nell’antica orgia dionisiaca) assumono la valenza di un’affermazione corale di energia e di euforica volontà di potenza, con cui l’uomo sperimenta l’eternità.

Una delle immagini simboliche che meglio esprimevano lo spirito festivo era il viaggio su nave: sospendendo l’ordine quotidiano, si toglieva metaforicamente l’ancora e si salpava affrontando il mare aperto. Il viaggio per acqua (immagine ricorrente della morte) è inquietante, angosciante: nella rischiosa traversata si perde contatto con la solidità della terra ferma; e la stessa paura del procedere verso l’ignoto può rendere folle chi s’imbarca. Il Carro Navale delle antiche tradizioni egizie e babilonesi diviene, nel Medioevo, la Stultifera Navis, la nave dei folli.

In occasione del Carnevale dell’anno 1494, l’umanista Sebastian Brant dà alle stampe, a Basilea, un poema satirico in rime baciate, che incontra subito un’accoglienza calorosa: Das Narrenschiff, La nave dei folli. Il tema sarà ripreso, ma
più in grande stile, da Erasmo,
nel suo Elogio della Follia. In
quest’opera, il personaggio che
si presenta in veste di buffone,
tessendo le lodi di se stesso, è
non soltanto uno specchio in
cui si possono riconoscere i
“sileni rovesciati” (i potenti ed
i benestanti, i privati interessi
dei quali sono la causa di guerre ed ingiustizie), ma esprime anche la forza vitale insita nell’essere umano che, traducendo l’ottusa bestialità, la cieca violenza, in riso, ne dissolve la “serietà”, e quindi la credibilità stessa

Per quanto riguarda l’opposizione al Carnevale della Chiesa vera e propria, invece, mi limiterò a ricordare, tra le varie figure rappresentative, il francescano Salimbene da Parma, il domenicano Savonarola, e il Papa Benedetto XIV. In particolare Benedetto XIV, (1675-1758), pontefice dal 17 agosto 1740 alla sua morte, è il Papa che viene ricordato perché diede inizio a quella nuova forma di corrispondenza con i Vescovi, oggi nota a tutti, alla quale diede il nome di “Lettere encicliche”. E, guarda caso, la sua prima enciclica, quindi la prima enciclica della storia della Chiesa, datata il 1 gennaio 1748 e indirizzata all’Episcopato dello Stato Pontificio, è dedicata proprio alla condanna del Carnevale, e vi si menzionano anche più antiche stigmatizzazioni, ma anche non solo della chiesa cristiana .

Per concludere, la cosa più curiosa che si ricava da questa documentazione è che la stragrande maggioranza degli studiosi abbia accettato, ed accetti tuttora, in modo del tutto acritico, l’assurda etimologia tradizionale, proposta dalla Chiesa, senza tener conto che partendo da carrus navalis inteso come navigium Isidis, tutti gli aspetti veramente autentici del Carnevale, che sono proprio l’antitesi di quelli della Quaresima, vengono spiegati in modo adeguato, sia a livello linguistico che a livello storico-culturale, e permettono, per di più, di scoprire nuovi elementi della trasformazione del culto di Iside . Mentre le presunte etimologie carnem levare, carne levamen, carnem laxare non solo non hanno nulla a che fare con il Carnevale ma risultano anche, chiaramente, tentativi non riusciti della Chiesa cattolica delle origini di ‘cristianizzare’ il Carnevale, trasferendo ad esso tratti caratteristici della Quaresima.

Bibliografia: Giampaolo di Cocco “Alle origini del carnevale”

Il Carnevale è ricco di ricette, ogni regione ha le sue e la stessa ricetta si chiama in modi diversi a secondo della regione: eccone alcune che si usano a Tarquinia.

Frittelle di riso di Matilde Lodi

Frittelle-di-Riso1 kg di riso
500 gr di uvetta
400 gr di ricotta
½ bustina di lievito
6 uova
400 gr circa di farina
1 limone grattugiato
cannella q. piace
zucchero q.b.
latte
sale

Lessare il riso nel latte e acqua con un pizzico di sale, scolarlo e farlo raffreddare. Aggiungere le uova, la ricotta, l’uvetta già bagnata, il limone. Lo zucchero a secondo quanto piace dolce, ma non più di 3 o 4 cucchiai, così come la cannella. Per ultimo la farina e la bustina di lievito. Friggere a cucchiaiate nell’olio bollente, scolarle e passarle nello zucchero.

Castagnole morbide

400 di farina 00
100 g di fecola patate
50 g di burro a pomata
5 tuorli
300 g di ricotta
150 g di zucchero
150 g di latte
½ bicchiere di anisetta
1 bustina di lievito per dolci
buccia di arancia e di limone grattugiata
un pizzico di sale
olio di arachidi per friggere
zucchero a velo

Usando le fruste elettriche amalgamare il burro con lo zucchero, unire la ricotta, gli aromi, le uova il latte e la farina con il lievito. Lavorare poco l’impasto. Con l’aiuto di due cucchiai formare delle palline e tuffarle direttamente in olio profondo e ben caldo. Spolverizzare di zucchero a velo.

Ravioli fritti di Carnevale

500 g di ricotta freschissima di pecora
2 tuorli d’uovo
150 g di zucchero
Abbondante cannella in polvere
Zucchero a velo
Olio di arachidi per friggere

Impastare gli ingredienti per la pasta lavorando bene per ottenere un panetto liscio ed elastico. Lasciar riposare 20 minuti coperta con pellicola. Amalgamare in un mixer tutti gli ingredienti del ripieno, regolando la quantità di zucchero e cannella a proprio gusto (la cannella deve comunque essere abbondante, si deve sentire bene). Conservare in frigo fino al momento di utilizzare. Tirare la sfoglia non troppo sottile, farcire con il composto di ricotta e formare dei raviolini quadrati. Friggerli subito in abbondante olio di arachidi, sgocciolare bene su carta da cucina e, una volta freddi, spolverarli di zucchero a velo.