(s.t.) Ieri ho contattato Valentina Cea, ventisettenne tarquiniese che da un anno e tre mesi vive a Milano, dove collabora in uno studio legale ed è loan manager esterna di una società di recupero crediti bancari. Le ho chiesto se le andasse di fare un’intervista per raccontare come sta vivendo l’emergenza coronavirus in una delle aree più colpite. Ha accettato volentieri, e anzi si è proposta di scrivere delle cose, intanto, come base per la chiacchierata. Quello che Valentina mi ha inviato stamani lo trovate pubblicato di seguito, integralmente e senza che abbia cambiato una virgola: perché, leggendolo, ho capito che nessuna domanda o considerazione esterna avrebbe potuto dare maggiore efficacia al messaggio che lei stessa, in queste righe, trasmette.
di Valentina Cea
Mi ricordo alla perfezione quel giorno in cui si è iniziata a respirare la tensione e l’incredulità di quello che stava succedendo. Era domenica 23 febbraio 2020 e il Lodigiano è stata considerata zona rossa. Ero a pranzo e i miei amici mi inviavano le prime foto dei supermercati di Milano vuoti. Non volevo crederci e pensavo che fosse solo un’esagerazione.
I giorni successivi sono stati caratterizzati da confusione e ansia. Da subito si è parlato di una semplice influenza con mortalità bassissima ma, almeno al Nord, occorreva assumere misure precauzionali: le scuole, le università, le palestre e i musei erano stati chiusi. I locali e i ristoranti erano aperti solo fino alle 18.
Sono stata la prima a non accettare una Milano così ferma, silenziosa, vuota e triste. Non ricordo nemmeno come e quando si sono raffreddati i rapporti interpersonali. Nonostante ciò, mi sforzavo di non pensarci: mi recavo allo studio legale e alla società in cui lavoro. Il Tribunale era comunque la mia seconda casa. Facevo feste con gli amici a casa e cercavo di sdrammatizzare. D’altronde echeggiava il motto “Milano non si ferma”.
Non potevo pensare di perdere le mie abitudini in un momento in cui tutto andava nel verso giusto sia a livello professionale che personale. Tranquillizzavo parenti e amici distanti tanto pensavo “figurati se questo virus arriva a Tarquinia”. Cercavo di essere serena e sorridente soprattutto con mia madre, preoccupata di avere entrambi i figli al nord. Purtroppo, giorno dopo giorno, ho cominciato ad avere sempre più paura e quei sorrisi sono svaniti. È una paura che non so spiegare a parole ma che, ad oggi, mi accompagna in ogni istante.
La mia vita è cambiata radicalmente da ormai molti giorni e non vedo la luce in fondo al tunnel. Ho rinunciato praticamente a tutto. Lo so che questa è ormai la realtà in ogni regione ma, personalmente, subendola da più settimane, inizia davvero a pesare.
Come passo le mie giornate? Faccio smart working, mi alleno in casa, sogno solo il momento della “liberazione” per correre da chi amo. Sono entrata in un mondo esclusivamente virtuale. Vivo giornate interminabili e spero sempre di non accusare i sintomi del virus. D’altronde i numeri parlano chiaro. Sento continuamente le sirene delle ambulanze e ogni giorno attendo buone notizie dal famoso bollettino delle 18.00 anche se, purtroppo, si ribadisce sempre la stessa cosa: la Lombardia è al primo posto per contagi e numero di morti e vanno assunte maggiori misure restrittive.
Il momento della spesa – anche le consegne a domicilio risultano ormai quasi cosa impossibile – non è affatto un momento di svago. Esco con la paura anche di respirare e vedo semplicemente in faccia la realtà, nuda e cruda: una realtà caratterizzata dal silenzio assoluto. Non vedo alcuna faccia amica, non ci sono conoscenti o amici nelle mie vicinanze come potrei avere nel mio paese. Siamo tutti contro tutti e nessuno sorride.I più fortunati hanno la mascherina. Anche sul viso del personale c’è evidente preoccupazione. Nessuno chiede nulla, non ci si ringrazia e non si chiede nemmeno “permesso”. Non ci si guarda più negli occhi, tutti si osservano con sospetto, qualsiasi persona può essere un ipotetico asintomatico, come se fosse un “mostro” pronto ad infettarti.
Non è facile superare la tristezza e la solitudine ma cerco di farlo per tutte le persone a me care. Una cosa però devo dirla: non condivido la decisione di chi ha fatto “la famosa fuga nella notte” anche se mi rendo conto che, in momenti di così tanta confusione e paura, potrebbe scattare l’idea. Non ci ho mai pensato e tornerò solo quando l’emergenza sarà rientrata.
La situazione in Lombardia è davvero fuori controllo ma con le mie parole ci tengo a fornire un contributo di responsabilità ai miei concittadini: rimanete in casa e non lamentatevi delle misure adottate. Non comportatevi come ho fatto io in un primo momento. Sono stata la prima a non crederci fino in fondo e ho sbagliato. Non cercate via di fuga alla quarantena, non date importanza ad una corsetta all’aria aperta, alla voglia di vedere il mare o alla raccolta dei funghi. Non fatevi sopraffare dalla voglia di andare a trovare, di nascosto, chi amate. La convinzione che “tanto figurati se succede a me” è la cosa più sbagliata che possa esserci.
Il proliferarsi dei contagi è veramente troppo rapido ed è una guerra silenziosa a tutti gli effetti. Sono la prima che è lontana da tutto e tutti e che vive da sola in una città e in una casa che conosco da poco tempo ma, nonostante ciò, cerco di resistere. Mi faccio forza perché voglio tornare a vedere Milano come l’ho trovata al mio arrivo: dinamica, viva, creativa e divertente.
Prendo coraggio perché non perdo la speranza di tornare a farmi un weekend a Tarquinia in completa libertà. Ma, soprattutto, cerco di non farmi sopraffare dalla paura perché voglio soltanto tornare a sorridere e abbracciare chi amo.