“Oggi, 24 marzo, è il primo giorno in cui nessuno di noi è uscito di casa. Ma stiamo tutti bene, siamo tranquilli, felici di avere un po’ di tempo per noi e cercheremo di sfruttarlo in maniera produttiva”: per Londra, oggi, primo risveglio nel clima di lockdown imposto ieri dal governo per provare a mettere un freno al diffondersi del contagio da coronavirus.
A raccontare le sensazioni di due ragazzi italiani che nella capitale inglese vivono da quattro anni è Miriam – 23enne attrice e modella che in attesa di laurearsi sta lavorando part time in una delle più grandi catene londinesi – che convive con Lorenzo, 26 anni, designer e fotografo professionista.
“Abbiamo iniziato a vivere la ‘paura’ da Coronavirus a distanza circa un mese fa: – racconta Miriam – le nostre famiglie in Italia hanno preso alla lettera le parole – ormai slogan e hashtag sui social – “Restate a casa!” e sono tutti in isolamento da ormai quasi mesetto. Noi due poi abbiamo parenti sparsi in tutta Italia: cugini bloccati a Milano, mamme e zii divisi tra Calabria e Roma e così abbiamo aggiornamenti e notizie dal nord, dal centro e dal sud. Alcuni sono arrabbiati per come il governo sta gestendo la parte economica della questione, altri fanno volontariato, rigorosamente con guanti e mascherine, andando in giro a portare viveri e medicinali a chi necessita aiuto. Poi c’è qualcuno della famiglia che sta ancora andando a lavoro, essendo vigile del fuoco. All’inizio non eravamo preoccupati, specie perché qui la vita continuava normalmente: li sentivamo ogni giorno e cercavamo di capire cosa dire, per motivarli e per tenerli su. Logicamente dopo due settimane tutto è cambiato…”
E alla maggiore attenzione per la situazione in Italia ha iniziato a sommarsi la preoccupazione per la crescita dei contagi nel Regno Unito. “Qui a Londra la prima stretta c’è stata alla fine della scorsa settimana, – spiega Miriam – fino ad all’ora università, lavoro… tutto era normale. Noi siamo andati al bowling e addirittura abbiamo fatto un viaggio prenotato da tempo in Olanda, ignari di cosa sarebbe successo. L’ultimo giorno del nostro viaggio, Olanda e Inghilterra hanno annunciato l’emergenza nazionale. Alcuni treni sono stati cancellati, altri erano vuoti. Noi siamo stati ad Amsterdam e a L’Aia, e per rientrare a Londra ci hanno fatto prendere tre treni diversi, con scalo a Bruxelles. Se fossimo stati infetti non so come avrebbero fatto a rintracciare tutta la gente con la quale siamo entrati ‘in contatto’! Fatto sta che appena rientrati sani e salvi a Londra ci siamo messi in isolamento nel nostro appartamento, rifiutandoci di andare a lavoro o a lezione ed ora siamo alla nostra prima settimana”.
“Il vero lockdown è avvenuto solo ieri. – continua Miriam – Anche perché qui a Londra la gente continuava a uscire: domenica scorsa, 22 marzo, in tanti sono andati a fare il picnic al parco. Anche noi parliamo di isolamento, ma viviamo in un appartamento condiviso e fino a ieri, 23 marzo, il nostro coinquilino spagnolo andava ogni giorno a lavorare all’aeroporto di Heathrow, o addirittura ha portato una ragazza a casa. L’altro coinquilino, invece, è scappato via in Portogallo già una settimana fa”.
E quindi, già da prima delle decisioni di ieri di Boris Johnson Miriam e Lorenzo hanno dovuto costruirsi una nuova routine. “Lorenzo e l’altro ragazzo lavorano da casa, quindi è abbastanza ok per loro. Per me invece la situazione è un po’ più complessa: essendo in un corso pratico non posso fare lezioni online, lo show di fine anno che stavamo preparando è stato sospeso e così anche la possibilità di una carriera subito dopo una eventuale laurea. Gli agenti non cercano nessuno perché non c’è lavoro: i teatri, i concerti, ogni cosa è ferma. Sono tempi bui e incerti per tutti i futuri laureati di teatro e per questo è stato addirittura coniato un hashtag: #ukgrad2020”.
Uno stile di vita che non può prescindere da precauzioni e cautele. “In casa prestiamo attenzione all’igiene. Una sola persona va a fare la spesa per tutti, prima di entrare in casa lasciamo le scarpe fuori la porta e puliamo i prodotti appena acquistati con l’alcol. Non credo paura sia la parola adatta a noi, per noi funziona più la parola awereness. Attenzione. Attenzione a cosa facciamo, a come la facciamo, a quanto beviamo, mangiamo e ci alleniamo, alla pulizia e alla produttività. Fino ad ora non ci siamo mai annoiati”.
“Di tornare in Italia non ne abbiamo neanche mai parlato. – risponde decisa Miriam all’apposita domanda – Perché dovremmo metterci a rischio, viaggiando ancora, per andare in un paese dove la situazione è peggiore di quella che c’è qui, con fatti che sono alla luce del sole. Sì, potremmo stare con le nostre famiglie, però credo che dovendo stare in casa per almeno tre mesi meno siamo e meglio è. Sia perché c’è meno rischio di contagiarsi a vicenda, sia perché poi uno “sclera”. Qui a Londra abbiamo ciò che ci serve per stare tranquilli e usare questo tempo come un periodo produttivo quale è, e non come una vacanza. Andando a casa ci stresseremo! Quando si è una coppia come noi specialmente, perché Lorenzo è di Roma e io di Catanzaro. Dovremmo dividerci? Dovremmo fare su e giù? Qui siamo noi, con il nostro quotidiano e la nostra autonomia”.
“E poi – conclude Miriam – ovviamente essere italiani ha i suoi vantaggi anche in questa situazione così surreale. Molti nostri amici dovranno imparare a cucinare per la prima volta! Molti non hanno pazienza, si annoiano, non sanno cosa fare. Noi ci stiamo dedicando ai nostri: hobby, pittura, cucina, pizza, torte, pane, pasta… Arte in ogni sua forma. Perché si può dire quello che si vuole, ma l’arte rimane comunque a noi italiani, in ogni circostanza”.