L’arte mi sembra essere soprattutto uno stato d’animo.
Forse questa frase di Chagall (1887-1985) stesso sintetizza perfettamente la sua poetica, figlia di una ricca tradizione (quella degli Ebrei e della Bibbia) aggiornata da una lettura d’avanguardia novecentesca e riletta a una luce propria della sua terra d’origine, allora facente parte del grande Impero Russo, oggi Bielorussia.
Al grande pittore di Vitebsk è stata recentemente dedicata la più grande esposizione degli ultimi cinquant’anni al Palazzo Reale di Milano: Marc Chagall Una retrospettiva 1908-1985, che ha presentato al pubblico più di duecento opere riunite da collezioni private e grandissimi musei tra i quali spiccano il Museo Nazionale di San Pietroburgo, il MOMA e il Metropolitan Museum di New York insieme alla National Gallery di Washington e al Centre Pompidou parigino.
L’esibizione si districa nelle splendide sale della costruzione che affaccia sul Duomo, sotto i meravigliosi affreschi dei soffitti le opere dell’artista brillano per i loro colori potenti, ma soavemente poetici.
La cosa che più colpisce gli osservatori è che l’esposizione presenta essenzialmente opere del solo Chagall e che di per sé per quanto questo denoti una grande cura per l’allestimento e per la ricerca dei capolavori, d’altra parte non concede all’osservatore di operare i delicati e necessari confronti con le avanguardie o i climi contemporanei, nonostante siano esplicitamente citati dalle stesse guide turistiche per necessità (devozione a Van Gogh, gli incontri pungenti con Picasso e il cubismo, la sfida in Russia con il Suprematismo e Malevic). Se perciò da un lato notiamo una collezione espositiva che può vantare forse esclusivamente opere e bozzetti di Chagall essa dall’altro non permette i collegamenti con la realtà storica dello stesso, rischiando di isolare eccessivamente la figura dal contesto in cui si sviluppa la sua ricerca artistica. Certo è da sottolineare che la mostra voglia evidenziare come, nonostante i viaggi e l’esilio, l’artista non abbia mai perso il fil rouge che dall’adulto lo rimandava a quei sentimenti e stati d’animo tipici del suo bambino interiore e la raffinata poetica russo-ebraica-novecentesca che si riscontra costantemente nella sua opera.
La retrospettiva segue cronologicamente i passi d’azione dell’artista, dalle prime opere realizzate in Russia al primo soggiorno francese a Montparnasse in cui evidenti sono i contatti con il cubismo orfico (Delaunay e Léger) e il fauvismo (Matisse) e il circolo di amicizie di Guillaume Apollinaire. Tornato in Russia, Marc incontra l’amore: Bella Rosenfeld diviene un elemento fondante, quasi un ritornello nella sua opera pittorica, già negli anni della rivoluzione russa, dove purtroppo arriva a una rottura con la politica artistica, incentrata dapprima sull’operato suprematista di Malevic e poi sull’ipotesi costruttivista di El Lissitzky e Aleksandr Rodcenko. Era dopotutto inevitabile che uno spirito libero e trasognante fosse lontano dall’avanzamento di teorie astratte e geometrizzanti che divennero sempre più simbolo della rivoluzione. Prima della partenza, Chagall si occupa addirittura del teatro ebraico statale Kamerny, di cui in mostra sono presenti numerosi bozzetti in una sezione a parte dove si è tentato di ricostruire l’atmosfera del posto. Non sono potuti giungere i pannelli originali, ma abbiamo gli studi preparatori (come Lo studio per il violinista verde). Di questo periodo il grande Compleanno (1915) e La passeggiata (1917) quadro icona della mostra.
La seconda fase della vita di Chagall, che inizia con le sue memorie pubblicate in yiddish poi in francese (Ma Vie, di cui l’esposizione riporta alcune stampe di acqueforti e puntesecche realizzate da Marc già negli ultimi mesi russi) mentre in esilio in Francia, è attentamente analizzata: sono gli anni in cui l’artista ritrae il Nudo sopra Vitebsk e passa con abbastanza tranquillità, arrivando sino a esporre a Basilea nel 1933, quando con l’ascesa del nazismo e di Hitler Marc inizia a sentirsi in pericolo. Con l’invasione della Francia da parte della Germania, Chagall e famiglia (che intanto sono riusciti a ottenere la cittadinanza francese) fuggono a Marsiglia, da lì in Spagna, in Portogallo e infine giungono negli Stati Uniti nel 1941 (di questo periodo si notino i vestiti che Bella ha cucito su disegno del marito, che poi provvide a dipingervi sopra, per uno spettacolo tenutosi in Messico nel 1942, l’Aleko di Sergej Rachmaninov).
La vita di Chagall ha un ennesimo scossone nel 1944, quando l’amata Bella muore. Lo shock lo allontana per qualche mese dalla pittura, per poi ritornarvi con nuovo vigore, aggiungendo un’aura costante di nostalgia e di malinconia, con quella magica presenza volante dell’amata perduta (si pensi a La mucca con l’ombrello) che ci riporta al sogno irraggiungibile dell’amore di una vita, ormai un fantasma che gravita nei sogni. Ricordiamo che il periodo si conclude con un nuovo amore trovato in Provenza, Virginia, che riporta l’artista -tornato in Europa- sulla strada di colori brillanti e luminosi, con i quali arriva a realizzare bozzetti e tempere per teatri e vetrate per sinagoghe.
Una sezione è dedicata ai suoi disegni per Le favole di La Fontaine, ricche gouache, fantasiose, dopo le quali, su invito di Ambroise Voillard, l’artista si era dedicato agli studi sulla Bibbia.
La mostra si conclude con un enorme olio su tela degli anni’70, un Don Chisciotte, in cui le presenze umane sembrano ormai ridotte a puri spiriti colorati, sono come flebili foglie in attesa che il vento le rimescoli e che i frammenti di vita su esse dipinte vengano rimescolati. Poco prima abbiamo in fondo visto Davanti al Quadro che Chagall dipinse ritraendovi una porzione della propria vita, identificandosi in Cristo stesso crocifisso al centro e ponendo accanto a sé i genitori e il piccolo paese di Vitebsk.
Una retrospettiva che vuole essere il modo per celebrare uno degli uomini che ha tentato, nonostante tutto, di veleggiare con la fantasia verso i porti dell’animo, ritraendo nei suoi paesaggi onirici animali che guardano lo spettatore e uomini chiusi nei loro pensieri. Forse è un monito: dopo le grandi distruzioni del Novecento, probabilmente sono gli animali gli unici veri esseri umani al mondo.
Francesco Rotatori