di Romina Ramaccini
Dopo il successo delle precedenti esposizioni, ha aperto al pubblico il 5 ottobre, al Complesso del Vittoriano, la mostra “Cézanne e gli artisti italiani del ‘900”. Obiettivo dell’esposizione è far conoscere al pubblico gli artisti italiani che, sull’esempio dello studio cezanniano, hanno dominato la scena artistica nella prima metà del ‘900 in Italia, segnando così una rottura con il passato ed una loro affermazione nella nostra penisola.
Cento sono le opere esposte, molte quelle di Cézanne che, nonostante non si fosse mai recato nella nostra terra, provava grande ammirazione per questa e per i “suoi” artisti del passato che tanto gli avevano insegnato. Il percorso espositivo segue un indirizzo tematico, volto ad una più facile comprensione delle influenze che gli artisti subirono in quegli anni ed ad un confronto tra le tecniche utilizzate.
La mostra inizia con la documentazione che attesta la presenza delle opere dell’artista francese in Italia. Quotidiani e riviste mensili, oltre a singole pubblicazioni, parlano di lui come il padre della modernità, colui che allontanandosi dalla corrente impressionista, ricerca l’ordine nel caos inserendo i suoi soggetti in strutture geometriche. È il critico e pittore fiorentino Ardengo Soffici a scoprirlo nel 1904, dopo aver visitato a Parigi il Salon d’Automne. “A Cézanne si deve la capacità di rendere tangibile la realtà, invece di limitarsi alla mera riproduzione di essa”, queste le parole del critico fiorentino che ben presto porterà in Italia i suoi lavori: nel 1910, infatti, avrà luogo la “Prima mostra di impressionismo francese”.
Prima di accedere alle opere pittoriche, pannelli descrittivi presentano gli artisti in mostra, molti dei quali quasi sconosciuti. Dopo aver appreso la divulgazione letteraria di tale innovazione, la mostra prosegue con una serie di opere relative al tema del paesaggio: si susseguono quadri di Morandi, Soffici e Cezanné. Il primo, infatuato dalla lezione dell’artista francese, eseguirà vere e proprie opere a lui celebrative, riproducendone quadri ed adottandone la tavolozza. Il cambiamento è immediatamente percepibile: a colori brillanti, pennellate fluide e sfumature impressioniste, si sostituisce una tavolozza dai colori scuri e macchie di colore accostate secondo la lezione dei macchiaioli, ancora viva nella Firenze del primo ‘900. La costruzione dell’immagine è basata invece sulla sintesi formale, quella che Cézanne ritiene più idonea per costruire la figura e renderne immediata la sua struttura.
È nella sezione successiva che l’indirizzo cezanniano viene presentato nella sua interezza. Qui il tema è quello delle bagnanti e le opere in mostra testimoniano l’elevata influenza che in Italia è avvenuta. Sironi, Pirandello, Capogrossi e di nuovo Morandi, nessuno è immune ed è interessante scoprire come pittori da noi conosciuti “astratti”, abbiano invece avuto un passato figurativo, basato sulla lezione di Cézanne. Di quest’ultimo tre diverse versioni delle bagnati e due litografie fanno da corollario all’intera sezione. Sono opere di ridotto formato che esprimono nella loro interezza la filosofia dell’artista francese: rigore classico e sintesi formale.
Una volta giunti al piano superiore, la lista degli artisti si allarga. Carlo Carrà, conclusa l’esperienza metafisica , esegue negli anni Venti paesaggi spogli, dove rivolge particolare attenzione all’aspetto naturale delle cose . Le opere racchiudono una profonda poesia, non dovuta alla riproduzione del reale, ma a quella delle emozioni interiori. Anche Umberto Boccioni, padre del Futurismo, apprezzerà di Cézanne la forza evocativa e rigeneratrice, la stessa che cercherà di immortalare nelle sue opere: interessante è “Ritratto del maestro Busoni”, opera del 1916 dove non si può non ricollegare il paesaggio sullo sfondo a quello del maestro francese. Di Gino Severini son presenti opere del suo intero percorso artistico: quelle degli inizi del novecento geometrizzate e volte alla sintesi e quelle del dopoguerra dove, oramai vittima delle restrizioni fasciste, torna ad una riproduzione fedele del reale.
Molti altri ancora sono i nomi presenti: Casorati, Gentilini, Cagli, Trombadori, Melli, Donghi, Francalancia, De Pisis, solo per citarne alcuni, tutti in qualche modo hanno metabolizzato la lezione cezanniana facendola propria e rielaborandola secondo le proprie esigenze. Lionello Venturi arriverà a sollecitare gli artisti astratti del dopoguerra ad adottarne la tecnica ed il pensiero. In questo ambiente così influenzato dal padre del cubismo, non può mancare però un’eccezione: Giorgio De Chirico infatti si opporrà perennemente a “quest’arte facile da imitare proprio perché povera di contenuto e volta tutta sul versante di un formalismo stupido”.
L’argomento è davvero vasto e, per comprenderlo al meglio, non c’è altro modo che recarsi alla mostra ed analizzare personalmente le singole opere. L’impresa del Vittoriano è stata davvero ardua: un tema così complesso è indubbiamente complicato da presentare al pubblico, ma comunque bisogna dar merito di esser riusciti a raggruppare opere di notevole prestigio in un’unica occasione, grazie ai prestiti di prestigiosi musei di tutto il mondo, dando così la possibilità a noi di poterli ammirare e confrontare dal vivo, cosa molto difficile altrimenti da fare.
Erroneamente si pensa che l’Italia non abbia nulla di contemporaneo da presentare e questo perché, con l’avvento del fascismo, un ritorno all’ordine ha impedito a gran parte dei nostri artisti di evolversi verso nuove forme favorendo così l’affermazione dell’arte americana. In realtà noi abbiamo molto e qui possiamo veramente apprezzarne l’essenza.
La mostra, curata da Maria Teresa Benedetti, si potrà visitare fino al 2 febbraio 2014 quando chiuderà le porte per lasciare il posto ad una nuova esposizione, volta anche in questo caso, all’apprendimento e conoscenza dell’arte italiana del ‘900.