di Anna Alfieri
Molti anni orsono mia madre, per una serie di strane circostanze, salvò dal macero un vecchio pacchetto di lettere che erano state gettate nella spazzatura come cose senza valore. Si trattava, invece, di tutta la preziosa corrispondenza privata ricevuta nel 1841 da Benedetto Mariani, ricco proprietario terriero di Corneto (oggi Tarquinia), città a quel tempo dominata da uno stretto gruppo di grandi agricoltori e allevatori di bestiame che da soli gestivano tutte le immense risorse del suo territorio.
Le lettere – sessantacinque – erano divise in vari mazzetti, alcuni dei quali composti da fogli di carta molto raffinata, altri di carta ruvida, altri ancora di carta addirittura rozza. Le grafie, che rivelavano i vari gradi di cultura degli scriventi, erano ora spigolose, ora tondeggianti, decise o incerte, diritte o inclinate. L’ortografia, la grammatica e perfino la sintassi erano invece usate da tutti con la cordiale, condivisa e speciale informalità del tranquillo parlare quotidiano tra familiari o tra amici molto fidati.
Per tanto tempo ho ritenuto che queste lettere dovessero restare chiuse in una scatola di legno, ma poi – pensando che esse costituivano un importante documento storico e di costume riemerso miracolosamente dalla profonda periferia italiana dell’Ottocento risorgimentale – nel 2003 decisi di divulgarne il contenuto in un articolo pubblicato nel XXXII Bollettino della Società Tarquiniense d’Arte e Storia. Un lungo articolo pieno di echi risorgimentali e garibaldini intitolato “Lettere a un nobiluomo cornetano nell’anno del Signore 1841”. Un articolo in cui, forse per empatia femminile, parlai molto anche di Margherita Mariani detta Mita, che – figlia del Nobiluomo in questione – proprio nel gennaio del ’41 aveva sposato il conte Saverio Bruschetti di Camerino. Un matrimonio prestigioso e solenne, celebrato nel palazzo episcopale di Tarquinia dal Vescovo di Montefiascone e Corneto, l’Eminentissimo Filippo De Angelis, da poco eletto cardinale, alla presenza di Monsignor Angelo Scappini Penitenziario della Cattedrale, del teologo Giovanni Bottone e del Canonico Domenico Sensi.
Da Camerino, Mita Mariani, ormai Contessa Bruschetti, inondò il padre di lettere traboccanti di affetto e di complicità. Con grafia minuta e regolare, su carta inglese di marca Bath color avorio, o rosa, o azzurrina, gli raccontava quasi quotidianamente ogni dettaglio della sua vita di giovane sposa. Dalla sua prima entrata in paese quando molte persone salirono perfino sui tetti e sui campanili per vederla passare in carrozza al suono della banda locale, alle bizzarrie del vecchio suocero, l’avarissimo conte Vincenzo “che comincia a rimbambire e è diventato come una creatura. Ma gli ottantanove sono passati e per la sua età è felice”. Dalle sue mansioni di padrona di casa nel grande palazzo arredato “all’ultimo gusto dove ‘ci potessimo’ ricevere qualunque signore”, ai bei giorni passati alla fiera di Senigallia o a Fabriano dove si faceva bella musica di teatro e di chiesa, e dove operava la Compagnia di cavalli di Bernabò che lei aveva già ammirato anche a Corneto. E una volta, ripensando proprio a Corneto, Mita si lasciò andare perfino ad un pettegolezzo e ciò accadde quando le giunse la clamorosa notizia che la sua cara amica d’infanzia Anna Maria Bruschi Falgari si era fatta rapire dallo spiantato ma fascinoso Giggi Mastelloni “noto nell’intera provincia per le sue dissolutezze e per i modi disonestissimi di sedurre”.
Con la lettera del 29 maggio, Mita inviò al padre un messaggio speciale: “Ora che sono passati tre mesi di gravidanza sicura, Saverio e io vi diciamo che dovete preparare un bel regalo per il primo nipotino che avrete, dovendo essere voi il compare”. E aggiunse: “Dite a zia Checca che mi faccia venire da Viterbo tre dozzine di fasce assortite e una di quelle più fini perché da queste parti non si trovano”.
Il 26 novembre fu, invece, il Conte Saverio in persona ad inviare a Benedetto la seguente grande notizia: “Mio carissimo suocero, circa le otto di questa mattina la mia Mita ha felicemente dato alla luce un bel figlio maschio. Quale sia l’allegrezza di tutti è inesprimibile”. Un mese più tardi lo stesso Saverio, nel fare gli auguri di Natale ai buoni amici, ai cari parenti di Corneto, precisò: “La mia Mita sta benissimo e il piccolo Cesare è un torello”.
Questa fu l’ultima lettera ricevuta da Benedetto Mariani entro l’anno del Signore 1841, quindi fu anche l’ultima lettera ad essere giunta per caso in mio possesso. Perciò con essa conclusi il mio articolo nel grande rammarico che di Mita, di Saverio e del piccolo Cesare non avrei avuto mai più alcuna notizia. Invece mi sbagliavo.
Infatti, qualche anno dopo la sua pubblicazione, il mio scritto destò l’interesse di Emanuela Cesetti dell’Università di Macerata che, attenta studiosa di genealogie nobiliari marchigiane e dei relativi palazzi gentilizi, si mise subito in contatto con me. Io le inviai tutti i documenti a mia disposizione e lei, Emanuela, pochi giorni orsono, cioè alla fine del gennaio appena trascorso, mi ha fatto pervenire il suo ultimo libro ancora fresco di stampa, sorprendentemente intitolato Un tranquillo patriota di provincia, l’appartamento ‘all’ultimo gusto’ del Conte Saverio Bruschetti di Camerino. Un importante saggio storico che racconta i fermenti e gli eventi risorgimentali nelle Marche proprio attraverso le vicende familiari dei nostri Conti Bruschetti. Un testo severo che, però, io ho letto in un soffio, quasi volando, felice e incredula nell’aver ritrovato, virgolettate nel titolo, le precise parole che in un giorno lontanissimo la mia Mita aveva scritto a suo padre.
E ora so. So che il conte Saverio, animato da grandi ideali patriottici, fu perfino volontario Tenente Colonnello della Guardia Civica e della Guardia Nazionale prima, durante e dopo le vicende della Repubblica Romana. So che Mita in pochissimi anni di matrimonio gli dette sei figli: Cesare (1841), Marianna (1842), Guendalina (1844), Giulia (1846), Vincenzo (1847) e Sofia (1848). So anche che Cesare, il primogenito che già conoscevo, nel 1876 venne eletto Deputato al Parlamento italiano dove, memore del pensiero liberale e democratico di suo padre Saverio, sedette nell’ala sinistra dell’aula. So perfino che Sofia, l’ultimogenita, sposò il Conte Giacomo Leopardi di Recanati, nipote del grande poeta e che nel 1897 profuse gran parte della sua notevole dote per pubblicare, a cura di Giosuè Carducci, il voluminoso “Zibaldone” del celeberrimo zio acquisito.
Sono, però, anche al corrente che Vincenzo, l’altro maschio Bruschetti, il burrascoso, velleitario e anche un po’ sfortunato Vincenzo, in poco tempo dilapidò l’intero patrimonio familiare, perdendo anche il prestigioso Castello di Rocca d’Ajello fino al suo ultimo arredo e l’intero palazzo di città che Saverio aveva amorevolmente ristrutturato, all’ultimo gusto, per accogliervi la sua giovane Mita.
La sua, ma anche la mia e la nostra Mita Mariani cornetana, che si sarebbe spenta a soli ventinove anni il 17 marzo 1851, quando la sua bellissima nidiata di figli aveva ancora un immenso bisogno del suo amore di mamma.