Riceviamo e pubblichiamo
La rappresentanza politica e sociale è in crisi da molti anni. Il pensiero neoliberista ha sconvolto tutti i vecchi modi di pensare la rappresentanza degli interessi diffusi, tranne quelli del capitalismo finanziario che governa, anche, quello economico. Sul versante politico si è determinato uno sconvolgimento talmente grave che spesso si fa confusione su che cosa sia di destra o di sinistra: basti pensare alla trasformazione del PD in Italia o a quanto accaduto alle Socialdemocrazie in Europa. I casi francese, tedesco, inglese, spagnolo o greco rappresentano il paradigma del pensiero debole e confuso in politica, con risultati fallimentari.
Spesso in questi anni si è manifestata una vera e propria degenerazione della rappresentanza politica, i valori di riferimento sono stati modificati e hanno lasciato la parte più debole della società senza rappresentanza politica. E’ il caso del mondo del lavoro subordinato. Circa 17 milioni di lavoratrici e lavoratori, uniti a oltre 16 milioni di pensionati, non hanno una rappresentanza politica diretta. Mentre il Parlamento è pieno di avvocati, giornalisti ed esponenti di altre professioni. Resta il quesito antico: “che fare?”.
Ricostruire la sinistra pone una domanda: da dove ripartire? Negli ultimi 25 anni tutte le esperienze a carattere esclusivamente elettorali hanno fallito, per arroganza dei gruppi dirigenti, per l’incapacità ad unire e per aver determinato un processo che ha portato alla frammentazione competitiva sul piano elettorale senza un’idea guida e un forte e radicato rapporto con i luoghi della rappresentanza sociale. Il tutto mutuato da leggi elettorali che hanno cancellato il potere degli elettori rispetto alla possibilità di scegliere il proprio candidato pur dentro la lista partitica, lasciando a pochi segretari il potere di nominare i parlamentari. Ora con la proposta di Coalizione Sociale si inverte il modello di riferimento, si punta alla costruzione del “blocco sociale” bistrattato dalla politica.
L’intuizione di Maurizio Landini, in questa fase storica, è la strada da percorrere. Le polemiche dentro la Cgil e nel cosiddetto centrosinistra dimostrano come sia importante aprire il confronto: vanno mandate al mittente le sparate, gli anatemi e la paura di nuove esperienze! Il rapporto sindacato-partito è sempre stato un argomento sensibile nella Cgil e nella sinistra politica. Ma siamo tutti coscienti dell’ipocrisia che si sviluppa attorno a questo argomento, in modo particolare quando si parla di autonomia? La storia ultrasecolare della Cgil è legata alla storia del movimento operaio ed è piena di eventi che hanno al centro questo dibattito. Molto è legato al grado di libertà del gruppo dirigente quando non è cooptato. E se proviamo a mettere in fila qualche esempio recente, la verità viene subito a galla! La riforma delle pensioni (vergognosa) Fornero-Monti e la riforma del mercato del lavoro con annessa sterilizzazione dello Statuto dei Lavoratori (articolo 18 compreso) sono state possibili grazie all’assenza di autonomia del sindacato unitario e per effetto dell’eccessiva vicinanza da parte della maggioranza del gruppo dirigente della Cgil al Partito Democratico di Bersani, che era impegnato a sorreggere il governo Monti. La qualità del merito non fu sufficiente a richiamare l’autonomia, evocata da noi insieme a Fiom e Flc. Ancora, nella storia della Cgil, questo argomento è stato fonte di scontro politico tra le diverse anime e sensibilità, tra “autonomia”, “indipendenza”, “cinghia di trasmissione”… non ci siamo fatti mancare nulla.
Cgil è un acronimo significativo e ambizioso. Confederazione Generale del Lavoro. Confederazione in quanto soggetto capace di unificare “tutte le organizzazioni proletarie d’Italia”, Generale perché costruisce attorno all’azione unitaria quella politicità necessaria a costruire un mondo migliore senza disuguaglianze, per liberare il mondo del lavoro dalla schiavitù e farla diventare classe dirigente. In questo la rappresentanza confederale va oltre l’azione sindacale di categoria, rivendicativa e corporativa. La Confederazione si fa soggetto sociale e politico nel suo insieme. Contro i provvedimenti del governo Berlusconi, la Cgil da sola ha indetto sette scioperi generali, mentre per gli stessi provvedimenti dei governi sostenuti dal PD siamo stati fermi per tre lunghi anni. Per tutto ciò è fuori luogo la polemica secondo cui la Coalizione Sociale farebbe “politica”.
Quando dall’altra parte vengono attaccati i diritti dei lavoratori, che cosa bisognerebbe fare? Forse un girotondo? Ecco perchè è giusto fare politica, per rappresentare altrimenti i lavoratori oggi colpiti nei diritti più elementari. La rottura epocale tra gli eredi politici della vecchia sinistra e il sindacato pone una questione altrettanto epocale: chi rappresenta oggi il lavoro in politica? Attualmente nessuno! Per tutto ciò la proposta della Fiom-Cgil, a cui abbiamo dato adesione e sostegno, può essere la risposta politica, senza essere partito. Le lotte sociali, se non sono tradotte in provvedimenti legislativi, rischiano di essere mera testimonianza; per questo serve la Coalizione Sociale, per dare voce e senso a quei milioni di cittadini che sempre più sono sfiduciati dalla politica e che non si sentono rappresentati.
Polo Civico di Sinistra
Luigi Caria