di Leo Abbate
Inutile nascondersi dietro un dito: alla fine, ci credevamo tutti ma proprio tutti. Avevamo rispolverato le bandiere, riempito il serbatoio di benzina (con quello che costa) e stavamo tutti pronti a sfilare per le strade e a manifestare in modo variegato e pittoresco, come solo noi sappiamo fare, il nostro giubilo per un titolo europeo insperato che manca da quando il pallone era fatto di pietra pomice. Tutti lì, con la bandana in testa, la birretta in mano e lo sguardo sognante. Ad assistere alla tragedia. Una disfatta senza possibilità di riscatto. Cominciata al primo minuto e finita al novantaquattresimo.
Quello che non sopporto delle sconfitte, oltre al fatto che di solito ti fanno perdere, è la retorica. Ogni partita persa ha un suo rituale, sempre quello: le lacrime e lo sguardo attonito (“Ma come! Non abbiamo vinto?”), le frasi di circostanza ad omaggiare i vincenti (che si vorrebbero invece mandare affan***); sempre quelle, mantra banali e fasulli che si ripetono da secoli, le recriminazioni del senno di poi, le dichiarazioni stereotipate del politico di turno e poi, ci sono quelli, i più stronzi di tutti, che “loro lo sapevano”
Tutto questo teatro per nascondere una semplice, direi ovvia, verità: girano le balle a tutti. La Spagna se li fabbrica in casa i calciatori da titoli mondiali ed europei, come fossero biscotti, e noi non riusciamo a trovare un numero dieci di vent’anni. Ne formavamo a centinaia fino a qualche anno fa. Le leggi razziali (perché questo sono) non ci permettono di “naturalizzare” stranieri. Non basta nemmeno nascere in Italia per essere italiano!
Ed i presidenti delle squadre, tranne qualche rara eccezione, se gli serve un giocatore con un minimo di tecnica, invece di forgiarlo nei vivai, se lo vanno a comprare all’estero, come se fosse un paio di mutande. Si comprano dei giocatori di quindici anni.
Vanno a rompere le scatole fino in Honduras. Della nazionale se ne fregano, vogliono far solo soldi. Qualcuno che non ci riesce, arrotonda con il calcio scommesse e si “arrangia” con le plusvalenze (supervalutano dei brocchi per gonfiare i bilanci).
Se ci fermiamo un minuto a valutare tutte queste cose, il secondo posto agli europei è un miracolo. Scusate lo sfogo, ma non potete neanche immaginare quanto mi girano. A me i “miracoli” mi fanno quest’effetto.