(s.t.) Non aggiungerò considerazioni sulla politica nazionale e sul coma vegetativo che sta spingendo il PD verso la morte politica. Ce ne sono già molte tra giornali, siti internet, blog, tweet ecc, sottoscritti da persone che hanno più preparazione, informazioni e competenze di me. Mi limiterò a qualche riflessione su come tali vicende statali siano ricadute a livello tarquiniese, frutto di pensieri letti qua e là – in questi giorni – su Facebook, nonché sul pezzo pubblicato oggi, sul Corriere di Viterbo, da Fabrizio Ercolani. Che, stimolato anche lui da certe esternazioni, ha stuzzicato commenti sulla politica nazionale agli assessori Ranucci e Celli, ricavandone un’intervista.
Nel pezzo, i due criticano pesantemente la dirigenza nazionale del PD – partito di cui sono entrambi rappresentanti – criticando “chi lo gestisce in modo dilettantistico pur essendo pagato da professionista” e minacciando di lasciarlo, qualora la scelta sul Presidente della Repubblica e sul Governo dovesse fondarsi su un inciucio con il PdL, in particolare con Berlusconi, “quello che è stato e sarà sempre il nostro avversario più pericoloso, il personaggio che ha creato un modo di fare politica che non ci appartiene, un sistema monocratico ed egocentrico di potere dove si dice e si fa quello che il capo vuole”.
Parole che, così lette – estraniate da una situazione politica che si evolve da anni – non hanno nulla di strano, ed anzi riassumono in pieno quegli ideali espressi dalla cosiddetta “base del centrosinistra” che Anna Finocchiaro ammette di non sentire. Parole che, anzi, fanno il paio e confermano quanto scritto dallo stesso Ranucci su Facebook, minacciando calci nel sedere agli autori dell’inciucio “delle larghe intese”.
Ma, almeno io, dalla situazione politica evolutasi nel tempo, ad estraniarmi proprio non ci riesco. E mi chiedo come mai solo oggi vi sia questa alzata di scudi in difesa di un partito che tutti – nessuno escluso, a nessun livello – hanno contribuito a spaccare, utilizzandone correnti e controcorrenti per la gestione del potere, generando e rigenerando scontri interni. Quello che oggi è evidente a tutti non è che il collasso finale di un sistema di cui ogni appassionato di politica conosceva i difetti, le crepe, i rischi: vogliono farci credere, i due assessori, che solo ora si rendono conto dei meccanismi che, anno dopo anno, hanno viziato la politica italiana?
Perché solo ora si sente la necessità delle pedate nel sedere ai “padri padroni” del PD, quando molti di essi – già da tempo protagonisti di inciuci nemmeno troppo velati – han fatto visita a Tarquinia, uscendone non solo con le chiappe intatte, ma anche con applausi a iosa e (spesso e volentieri) con qualche megaprogetto lasciato in dono alla Città? Perché appena un anno fa, in campagna elettorale per le comunali, la locale sezione PD, loro inclusi, osannava Massimo D’Alema (sin dalla Bicamerale simbolo dell’ambigua vicinanza tra centrosinistra e Berlusconi) anche quando – su domanda mia, con tanto di qualche occhiataccia dal parterre – fu poco convincente nello spiegare l’evidente “morbidezza” dei governi di centro sinistra (il suo compreso) su conflitto d’interessi ed ineleggibilità del Cavaliere.
Perché certi calci nel sedere ai vertici (o almeno qualche orgogliosa reazione verbale) non sono scattati quando i vari uomini di partito alzavano il telefono per calare dall’alto l’approvazione – o la sopportazione – di piccole e grandi opere, dall’autostrada alla centrale a carbone (per la quale, per inciso, tra le varie firme autorizzative, ne figura una dell’allora Ministro Ds Bersani)?
Non sarà insomma che, ora come ora, fa comodo abbandonare la nave che affonda, o far credere di volerlo fare, provando ad apparire diversi? Eppure nessuno dei due è mai sembrato così preoccupato per lo stato di salute del partito, anche a livello locale, quando i sintomi parlavano già di violenti scricchiolii, con il partito locale travolto da battaglie interne (neanche troppo segrete, se si pensa alla silurazione di Dinelli da parte di Mazzola), correnti e personalismi. Né ci sembra si siano troppo applicati ad attuare un modo di far politica diverso da quello di cui accusano Berlusconi, considerando che gli organi direttivi del PD sono – anche secondo molti dei componenti – accessori di corredo per le due amministrazioni cittadine. Ad esempio, prima di deliberarlo a inizio gennaio, il nuovo piano delle isole pedonali era stato discusso nella sede di via Mazzini? E il comunicato stampa successivo era stato concordato con gli organi di partito?
In attesa di possibili risposte su tutte queste mie perplessità – nonché, già che le evoluzioni politiche si sono indirizzate proprio verso l’accordo PD-PDL, delle conseguenti mosse di Celli e Ranucci per non morire berlusconiani – mi auguro vivamente che, data l’attuale situazione nazionale e cittadina, l’intervista di Ercolani segni il punto zero: non è mai troppo tardi per applicare ideali che, in passato, s’è fatto finta di dimenticare.