di Romina Ramaccini
Non capita troppo spesso, oggi, di recarsi in un museo ed attendere per entrarvi. Se non casi sporadici che, per di più, si verificano in occasione delle aperture straordinarie o ingressi gratuiti, le grandi sale delle gallerie si presentano purtroppo semivuote e tutto questo mostra come la cultura, in ogni momento di crisi, sia la prima a rimetterci. A Roma, però, ora c’è una mostra che di crisi non sente nemmeno l’odore e nonostante sia visibile al pubblico da più di un mese, ancora oggi vanta file all’entrata e sale affollate.
Inaugurata il 18 dicembre 2012 e visibile fino al 2 giugno 2013, al Chiostro del Bramante “Brueghel, meraviglie dell’arte fiamminga”, ben presto svela il suo segreto. Un allestimento di tutto rispetto, illuminazione idonea alla buona fruizione e pannelli esplicativi lungo tutto il percorso che rendono una mostra così complessa alla portata di tutti, mediante anche appositi schermi dove vengono esplicati in modo sintetico e semplice, i passaggi fondamentali dell’arte fiamminga. Con oltre cento opere, alcune esposte per la prima volta in Italia, si è catapultati in un genere pittorico che ha fatto della perfezione maniacale un cavallo di battaglia, prestando attenzione al particolare e valorizzando la bellezza della natura che diviene soggetto a sé stante.
Una prima sezione introduce il pubblico all’ambiente culturale dominante nei Paesi Bassi del ‘500 che – contrariamente a quanto avveniva in Italia, dove Michelangelo, Leonardo e Tiziano tendevano a sublimare idealmente l’uomo – pone l’accento sulla natura e sul rapporto che l’uomo ha con questa. Gli effetti della Riforma protestante e delle teorie calviniste, conducono infatti verso una visione più umile della realtà, prediligendo scene di vita quotidiana a quelle sacre e dell’alta borghesia.
Una serie di tele provenienti dalla bottega del pittore Pieter Coeck Val Aelst (la stessa dove si è formato Pieter Brueghel il Vecchio, capostipite della famiglia dei pittori che per quasi due secoli ha influenzato l’arte dei Paesi Bassi) conducono alla mostra vera e propria, che svela come ognuno degli artisti sviluppi il tema della rappresentazione del quotidiano. Esposto nella prima sala anche un lavoro di Hieronymus Bosh, altra figura cardine nella formazione artistica di Pieter Brueghel.
Proseguendo nella mostra, si giunge gradualmente alle opere dei due figli, Pieter il Giovane e Jan il Vecchio. Mentre Pieter manterrà fede ai temi paterni, rivolti alle umili azioni come scene di danze contadine e proverbi figurati con risvolti comici e grotteschi, con Jan si avrà un’evoluzione del tema delle nature morte.
Ecco quindi il succedersi di tele raffiguranti soggetti inclusi in ghirlande di fiori, eseguiti spesso a due mani. In un dipinto di Jan Brueghel il Vecchio si possono arrivare a distinguere ben cinquantotto diverse specie di fiori. Questo ben si sposava con la diffusione della “Wunderkammer” (Camera delle Meraviglie), moda molto in voga nel ‘600 che tendeva a raggruppare in un unico ambiente ciò che di più stravagante e meraviglioso il mondo offrisse.
Ma i fiori di Jan non hanno esclusivamente finalità estetiche: sono simboli che trasmettono valori cristiani e classici; ogni fiore, oltre ad avere un significato ben preciso, può alludere alla primavera, alla giovinezza ed essere attribuito a divinità classiche. È questo il caso del ciclo, esposto al piano superiore, delle allegorie – della guerra, della pace, dell’acqua, dell’amore, dell’olfatto e dell’udito – che nasconde molto di più di quello che l’osservatore crede di vedere.
Ancora più sorprendenti sono i lavori successivi. Basta varcare una sola porta e sembra di ritrovarsi all’interno di un museo botanico o, ancor di più, essere davanti ad una enciclopedia esposta al pubblico. Farfalle, insetti, fiori, conchiglie sembrano prender vita nelle tele di Jan van Kessel il Vecchio. Non si può non rimaner catturati davanti ad uno di questi lavori e non si può resistere dalla tentazione di avvicinarsi e constatarne la natura pittorica.
La genealogia degli artisti continua, fino a giungere ad Abraham, ultimo erede della celebre dinastia Brueghel che si distacca completamente dalla tradizione familiare. Come Jan Brueghel il Vecchio viaggerà molto, ma contrariamente a questo Abrahm non tornerà più nelle Fiandre, preferendovi l’Italia e mettendo fine al predominio artistico della famiglia nel paese d’origine.
Un percorso davvero sorprendente, un viaggio alla continua scoperta di un mondo che oggi ci appare lontanissimo, ma che in realtà racchiude un messaggio fin troppo contemporaneo: quello della sofferenza perenne dell’uomo che ha avuto la libertà, ma che ne dispone con incapacità e la sperpera nel vizio, diventando schiavo dei bisogni, delle depravazioni e del culto delle cose. Questo è ciò che il capostipite della famiglia voleva dire al mondo e questo è ciò che oggi noi, a distanza di secoli, possiamo fortunatamente recepire.