di Anna Alfieri
Le cose scabrose che sto per raccontare – semmai avrò il coraggio di raccontarle fino in fondo – non sono tutte farina del mio sacco. Infatti alcune di esse, le prime, provengono direttamente dall’articolo di Nicola Imberti “Musei Vaticani in versione gay” che, apparso a tutta pagina nel novembre scorso sul quotidiano “Il Tempo”, è corredato dal seguente e necessario sottotitolo chiarificatore: “Un tour operator omosessuale organizza una visita ‘diversa’ tra i tormenti di Michelangelo e gli amori di Leonardo”.
Il pezzo comincia più o meno così: se diciamo che la statua di Apollo Belvedere conservata in Vaticano in realtà rappresenta un twink, cioè un gay delicato dalla pelle liscia e i capelli abboccolati, e che il poderoso Torso maschile anche lui in Vaticano raffigura un bear, cioè un omosessuale massiccio e nerboruto, possiamo anche dire tranquillamente che Michelangelo – omosessuale e fervente cattolico – nella figura del Cristo intorno al quale ruota l’intera rappresentazione del Giudizio Universale della Cappella Sistina, riunì consapevolmente il volto twink del primo e l’impressionante muscolatura bear del secondo.
Da queste premesse – continua l’articolo – il tour operator Alessio Virgilio ha tratto l’idea di offrire ai turisti “speciali”, che a suo parere scenderanno numerosissimi in Italia per l’Expo 2015, la gioia di una visita romana anch’essa speciale. Visita che, iniziando proprio dall’attenta e maliziosa contemplazione dell’Apollo e del celebre Torso, si snoderebbe piacevolmente tra le meraviglie nascoste dei Musei Vaticani e si concluderebbe con la trionfale visione della Sistina in chiave un po’ osé. Luogo dove la guida potrebbe soffermarsi a parlare anche degli altri emozionanti capolavori un po’ gay non presenti in Vaticano: dei giovanetti ambigui e viziosi di certi quadri del Caravaggio, degli innumerevoli San Sebastiano che, dipinto seminudo qua e là nelle chiese, viene sempre trafitto da frecce gentili che non l’uccidono mai e, soprattutto, della ineffabile bellezza twink del San Giovanni Battista di Leonardo da Vinci. Misteriosissimo ritratto che si trova al Louvre, ma non importa perché – dice il tour operator – in questo caso basta il pensiero.
A questo punto della lettura del giornale ho avuto un sussulto. Se le cose stanno così – ho pensato – in fatto di twink o di bear, Tarquinia ha la carta turisticamente vincente: la Tomba dei Tori. Non tanto per le fin troppo esplicite immagini omosessuali che ormai tutti conosciamo a memoria, quanto per i sottili brividi gay e noir provenienti dalla pittura ad esse sottostante che, gelida emozione, rappresenta l’agguato di Achille a Troilo.
Troilo (ramoscello di latte, leoncello giocoso sulle cui guance porporine brillava la luce dell’Eros) era il più giovane, il più bello, il più amato di tutti i figli di Priamo. E anche il più prezioso perché un oracolo aveva predetto che, se perfino lui fosse stato ucciso, le mura di Troia sarebbero crollate e la città sarebbe stata distrutta.
Nella tomba tarquiniese, Troilo è rappresentato come un morbido twink dalle membra affusolate e i lunghi capelli acconciati alla maniera ionica che, nudo, anzi vestito di un solo braccialetto sull’omero sinistro e un paio di stivaletti azzurri, si aggira a cavallo nel recinto del tempio di Apollo Timbreo guardando il tramonto. Dietro il muro di una fontana, però, c’è Achille che, astuto determinato e feroce, gli tende un agguato impugnando già la machaira dei sacerdoti-macellai, con la quale intende sgozzarlo e farlo a pezzi per provocare la caduta di Troia. La scena è ferma, quasi incantata, ma – come narra una delle tante e diverse versioni di quel magico incontro – subito dopo Achille, improvvisamente accecato dall’inattesa bellezza della sua vittima, lascia cadere la machaira e, acceso d’amore, regala al ragazzo due belle colombe. E poi lo possiede. Ma il suo abbraccio amoroso fu tanto possente e così pieno d’ardore che il tenero Troilo, che non aveva ancora vent’anni, ne morì stritolato.
La Tomba dei Tori, animali fecondatori, è uno dei monumenti preromani più misteriosi e affascinanti del mondo. Un sepolcro allusivo e inquietante sulle cui pareti, 2500 anni orsono, l’etrusco Arath Spuriana lasciò scritto il suo nome.
Ma chi era il tarquiniese Arath Spuriana? Un sacerdote che conosceva i misteri legati ai miti del Minotauro? O un ricco e colto proprietario terriero che attraverso la magia e l’esoterismo voleva assicurarsi la felice riproduzione del suo bestiame e l’ampiezza del raccolto nei suoi campi? Oppure, semplicemente, un omosessuale felice di sé?
Forse fu tutte queste cose messe insieme perché nel pensiero magico della notte dei tempi, nell’antichità agricola, l’omosessualità, per sua natura infeconda, aveva in sé un potere scaramantico “rovesciato” che, se dedicato agli dei con riti propizi, produceva la fertilità della terra e quindi la felicità del mondo.