(s.t.) A volte le cose, semplicemente, ti capitano, ti cadono sulla testa. Così è successo per questo bel contributo di Benedetta La Rosa, italiana in Olanda, che ha scelto di raccontarci, per dirlo con parole sue, il conflitto dello “stare a metà”. Si va ad aggiungere alle testimonianze di Giorgia, Valentina, Matteo e Riccardo, pubblicate nelle scorse settimane.
di Benedetta La Rosa
L’Olanda sembra il nemico.
Per noi che abbiamo messo la salute di fronte all’economia, l’umanità di fronte ai calcoli, la collaborazione di fronte alla competizione, l’Olanda oggi è il nemico.
Colei che ci nega il supporto che stiamo implorando di ricevere da chi ha più di noi. Colei che si è trasformata in paradiso fiscale ed ha visto incrementare, negli ultimi anni, la quantità di aziende estere con sede ad Amsterdam, che sa invogliare con tasse bassissime e tanti incentivi.
L’Olanda è piccola e potente, e nonostante condivida volentieri le compagnie di tutto il mondo, fa fatica a condividere i profitti che grazie ad esse realizza. L’Olanda è governata da una destra che sa chiedere scusa, sa ammettere i passi falsi (che poi le dichiarazioni siano seguite da azioni, questo è ancora da vedere), ma che in fondo protegge le tasche dei suoi ricchi elettori.
L’Olanda è il nemico.
Mi trovo, quindi, in casa del nemico. E pensare che, da quando vivo qui, l’Olanda è stata un po’ quella zia che sa esserti amica mentre i tuoi non ti capiscono. Insomma, tutt’altro che il nemico. In me l’Olanda ha creduto prima che lo facesse l’Italia. L’Olanda mi tratta da cittadina senza che io parli la sua lingua (non importa quanti corsi fai, l’olandese è difficilissimo). L’Olanda non chiede la mia dignità per donarmi indietro il riconoscimento che adesso so di meritare. L’Olanda è grigia e ventosa, e comunque glielo
perdono. Perché finisce che a nascere privilegiati, poi ci si impigrisca.
Col cielo sempre azzurro, il mare caldo, le montagne innevate, il cibo eccellente, i monumenti meravigliosi, ospedali che accolgono tutti, si diventa un po’ viziati. E quello che è un privilegio, e che andrebbe riconosciuto, coltivato e rispettato, viene dato per scontato. Converrebbe avere meno, forse, per imparare la gratitudine. Così oggi l’Olanda che nasce piccola, piatta, umida e fredda, e deve liberarsi dagli spagnoli, e creare terra lì dove non ce n’è e imparare l’arte delle dighe per proteggersi da una natura che, stiamo vedendo oggi più che mai, non guarda in faccia nessuno; quell’Olanda, oggi, non dà per scontato nulla di quello che ha e fa fatica a dividerlo con noi.
E io non posso che guardarla con un altro sguardo, da qualche giorno. La terra che mi ha accolto e sostenuto nel mio percorso, adesso si rivela nemica della mia altra terra, quella che ti fa sudare ogni euro ed ogni traguardo, ma che mentre crolli non esita a darti il poco che ha. Come i figli cresciuti in una famiglia bilingue che di fronte alla domanda “mamma o papà?” devono scegliere, in realtà, una bandiera, un’identità, anch’io oggi mi trovo a guardare lo stivale e chiedermi “Sarò mica dalla parte sbagliata delle alpi?”. È questa l’umanità che mi sarà offerta se dovessi ammalarmi? Certo fa paura, una sanità che ti guarda in tasca. Ti fa chiedere quanto è forte il tuo sistema immunitario e ti fa puntare tutto sulla tua giovane età. Alcune tragedie cambiano il concetto di ‘casa’, e si fa fatica a non sentirsi estranei un po’ ovunque. Quando il nemico può essere dappertutto, fa paura dover essere in tanti. Dover allargare le braccia per accogliere qualcun altro, per condividere con qualcun altro, per donare ciò che è in più. Viene quasi voglia di delegare pieni poteri a qualcuno che marchi bene i confini e ci protegga dal male.
Ma il male, anche oggi che vacilla cosa è casa e cosa è nemico, per me rimane la lotta ai collettivismi, il definire cosa è NOI e cosa LORO, la domanda stessa “mamma o papà?”. Perché con entrambi abbiamo dei conflitti, entrambi rappresentano qualcosa che aspiriamo ad essere, ma in fondo vorremmo soltanto che andassero d’accordo e rimanessero insieme.
Il virus mi ha ridato casa mia. Mi ha fatto riscoprire figlia della comunità e non delle bandiere; una comunità che riconosce la civiltà olandese e la passione italiana, una comunità che fa di questi tratti i suoi punti di forza e i cui membri sappiano insegnarsi a vicenda, senza giudicarsi e punirsi. E se la comunità non funziona, essa va cambiata e non abbandonata, perché può arricchirsi soltanto sostenendo ed onorando tutte le differenze che la popolano.