Riceviamo e pubblichiamo
Quale Presidente dell’Associazione “Bio Ambiente”, Vi scrivo in merito alla ipotesi di realizzazione dell’impianto a Biogas a Tarquinia, proposto dal Consorzio il Pellicano ed attualmente in corso di Valutazione di Impatto Ambientale presso la Regione Lazio, nonché oggetto di due procedure autorizzative presso la Provincia di Viterbo, la prima ex art. 208 del Dlgs 152/2006 in qualità di impianto di trattamento rifiuti, l’altra quale impianto per la produzione di energia (ai sensi della L. 387/2003).
Dopo il Convegno del 10 aprile u.s., organizzato a Tarquinia da Bio Ambiente e Forum Ambientalista (“Biogas dalla frazione organica dei rifiuti: i perché del no”), si perpetua un insistente scrivere da parte del Consorzio Pellicano sulla stampa locale, (addirittura intere pagine di quotidiani), tentando di sminuire la faticosa attività di informazione ai cittadini svolta gratuitamente da parte delle associazioni ambientaliste suddette, coadiuvate dall’ azione scientifica dei Medici ISDE (Medici per l’ambiente), anche questa svolta del tutto gratuitamente. Capita spesso, in casi come questo: da una parte gli imprenditori tentano di difendere la loro aspettativa di un altissimo profitto economico, dall’altra semplici cittadini ambientalisti tentano di difendere la salute della collettività e dell’ ambiente in cui vivono. Noi facciamo parte di questa seconda categoria.
Perciò sia quale Presidente dell’Associazione “Bio Ambiente” ma soprattutto in funzione della mia qualifica di Medico ISDE trovo doveroso specificare che l’impegno che noi (ISDE), in quanto medici, profondiamo nella lotta civile in difesa dell’ambiente, deriva oltre che da un profondo senso di responsabilità, soprattutto da un obbligo morale e di coscienza che la preparazione scientifica, imprescindibile dal nostro ruolo, ci impone. Quindi mi vedo costretto a spiegare quanto segue: le centrali Biogas alimentate da FORSU, che di bio non hanno nulla (“bio” per la fermentazione batterica dei rifiuti organici????), vengono classificate dalla normativa vigente quali industrie insalubri di prima categoria. Abbiamo già specificato in articoli precedenti dell’inquinamento atmosferico (micropolveri sottili) derivante dalla combustione dei gas (tra cui il metano derivato dalla fermentazione batterica in queste industrie) per la produzione di energia elettrica, con alto rischio pro-cancerogeno. Questa volta voglio trattare meglio l’argomento del Digestato (rifiuto finale quale prodotto di degradazione batterica dei rifiuti organici).
In Europa, sulla scorta della Danimarca che sin dal 1989 si è dotata di una normativa sugli scarti di natura organica e il loro uso per compost e digestione anaerobica, i paesi come la Svezia, l’Austria, la Germania e a Gran Bretagna hanno adottato regole che impongono trattamenti di sanificazione dei substrati che alimentano i digestori nonché determinate caratteristiche agli impianti (dotati di pastorizzatori) e che introducono severi controlli microbiologici, mediante l’utilizzo di bioindicatori, su quanto destinato ad essere utilizzato come concime (compost). L’Italia invece no. L’approccio tedesco è sicuramente più prudente di quello italiano ma gli studi dicono che non basta nemmeno pastorizzare substrati/digestati e i patogeni animali e vegetali, i semi delle malerbe possono sopravvivere e diffondersi.
I digestati (rifiuti finali della fermentazione batterica anaerobica dei rifiuti organici), prima di tutto, se ottenuti da processi di co-digestione possono presentare cariche anche superiori ai liquami come indicano le stesse ricerche de CRPA di Reggio Emilia (Veccia e Piccinini, 2011). Ma l’aspetto ancora più importante è che nei digestori finiscono anche scarti provenienti da macelli spesso siti in altre regioni che a loro volta ricevono animali da molte aziende. Finiscono anche scarti di industrie alimentari varie ottenuti da prodotti animali e vegetali che spesso, prima di arrivare alle centrali, subiscono processi di degradazione spinta. Aumentano, dunque, le probabilità che in entrata ci siano substrati contaminati da batteri patogeni e, in uscita, quelle di contaminare una grande varietà di terreni agricoli e falde acquifere. Quanto ai batteri patogeni va innanzitutto osservato che nel corso delle manipolazioni post-digestione vi è un potenziale rischio di ricontaminazione e ricrescita batterica. Per questo i digestati, anche quando risultato di un processo di digestione di substrati pastorizzati non possono, a dir poco, essere considerati esenti da rischi.
In Svezia, dove al problema della biosicurezza dell’uso dei digestati sono state dedicati molti studi, Leena Sahlström (2003) concludeva il suo studio sulla letteratura allora disponibile in tema di sopravvivenza dei batteri patogeni alla digestione anaerobica sostenendo che: “È difficile stabilire i rischi per la biosicurezza associati all’uso dei digestati come fertilizzanti, ma questo rischio non può essere trascurato”. Gli studi successivi hanno poi confermato l’esistenza di un rischio concreto. Rispetto ai batteri patogeni va innanzitutto osservato che nel corso delle manipolazioni post-digestione vi è un potenziale rischio di ricontaminazione e ricrescita batterica. I digestati, anche quando risultato di un processo di digestione di substrati pastorizzati non possono essere considerati esenti da Salmonella spp. o altri agenti patogeni (Bagge et al, 2005). Un problema ancora più serio e generale riguarda i batteri sporigeni (Clostridi, Bacilli) che, se presenti nei materiali organici in entrata, sopravvivono anche alla pastorizzazione (Mitscherlich e Marth, 1984; Olsen e Larsen, 1987, Chauret et al 1999, Aitken et al 2005, Bagge et al. 2005). Gli sporigeni possono costituire un problema igienico quando i digestati sono distribuiti su terreni seminativi e pascoli e possono causare diverse gravi malattie (come la gangrena gassosa, che spesso è mortale specie nei giovani bovini ed ovini che pascolano su determinate aree infette) e altre (Hang’ombe et al, 2000; Sternberg et al, 1999;. Wierup e Sandstedt, 1983). Tra gli sporigeni ve ne sono alcuni che non trovano condizioni molto favorevoli nel digestore (Clostridium chauvoei, che causa la già citata gangrena gassosa; altri, invece vi trovano condizioni ideali (Clostridium septicum e Clostridium sordelii)(Schnürer e Jarvis, 2009). È interessante mettere in evidenza che in Svezia, dove il rischio di gangrena gassosa è relativamente elevato, è stata vietata la fertilizzazione dei pascoli con i digestati anche se sottoposti a pastorizzazione. Ecco un primo esempio di applicazione del principio di precauzione.
I virus sono in gran parte inattivati ma ve ne sono non pochi resistenti al calore. Tra questi gli adenovirus e il virus dell’epatite A (Gerba et al. 2001). Monteith et al. (1986) hanno verificato che gli enterovirus e i parvovirus bovini sono resistenti ai trattamenti anaerobi mesofili e che il trattamento termofilo aerobio è di gran lunga più sicuro di quello anaerobio per inattivare questi virus. Derbyshire et al. (1986) hanno evidenziato come il trattamento di digestione anaerobica distrugga solo maggior parte dei parvovirus suini.
Scarti animali e vegetali di vario tipo e provenienza, FORSU (frazione organica dei rifiuti), fanghi di depurazione variamente mescolati rappresentano un cocktail molto pericoloso. Colleman (2000) riconosce che: “Il rischio di diffusione di agenti patogeni da una fattoria all’altra o da fanghi di depurazione di acque luride e dei rifiuti solidi urbani ecc., ai terreni agricoli, esiste e va prevenuto” (tanto da ritenere auspicabile quella normativa Ue che si aspetta ancora oggi).
Si mettono sul piatto della bilancia vantaggi ambientali inesistenti (in realtà ci sono impatti negativi ben reali) e, dall’altra, si chiudono gli occhi sulla biosicurezza. In base al principio di precauzione, sembra opportuno riconsiderare ogni autorizzazione/sostegno a nuovi impianti di biogas, per la salute delle persone e degli animali e per la sicurezza dei territori e degli ambienti nei quali questi impianti si troveranno ad operare, ovvero dei terreni dove verranno distribuiti i digestati. Devono comunque già oggi, sulla base della normativa esistente, essere rispettate distanze minime degli impianti di biogas e dello spargimento di digestato dalle abitazioni, dai centri abitati e dai corsi d’acqua.
Infine un particolare plauso e ringraziamento alla Coldiretti di Tarquinia e Viterbo, al prezioso Consorzio di Bonifica (linfa vitale per l’agricoltura) e soprattutto ai circa 1.800 cittadini che firmando la nostra petizione (che presto verrà depositata presso le amministrazioni), hanno dato credito alle spiegazioni scientifiche di noi Medici ISDE ed associazioni ambientaliste locali (Bio Ambiente e Forum Ambientalista) ed hanno preso posizione supportando il nostro pensiero di contrarietà alla realizzazione di una Industria Biogas a Tarquinia, ipotizzata nel bel mezzo di una vasta area agricola e quindi nel contesto della vitalità agricola di pregio, che dai tempi etruschi contraddistingue primariamente l’economia di Tarquinia.
Dr. Gian Piero Baldi
Presidente Associazione “Bio Ambiente cura e salvaguardia del territorio di Tarquinia e dell’ Alto Lazio”
Medico ISDE (Associazione Internazionale Medici per l’Ambiente – ISDE Italia)