di Marco Vallesi
Una città tutta da scoprire è la nostra Tarquinia.
Uno scrigno di tesori che sin da tempi immemori è stato riempito dalla ricchezza della cultura che mai ha mancato l’appuntamento con la storia.
Già all’alba della civiltà, tra insediamenti dell’età del bronzo e i campi d’urne “villanoviane”, i simboli e i materiali delle ricche suppellettili giunte fino ai nostri giorni, ci annunciarono, come il preludio di una grande opera, il dipanarsi d’un filo che, quasi ininterrotto, ha guidato le genti tirreniche in un viaggio ultra millenario.
L’uno sull’altro i secoli trascorsi si sono distesi.
A strati, giacciono con le loro storie e le loro arti: nello stesso punto formano un deposito, un cumulo immenso, una sorta di giacimento prezioso fatto di pittura, scultura e architettura.
Ma, a questa terra, non son bastati i fasti etruschi e nemmeno le glorie marinare della greca Gravisca.
Troppo orizzonte davanti ai colli per non mostrare nel tristo medioevo, ai condottieri e ai pirati, una città murata d’orgoglio e tenacia; ai poeti, turrita e devota.
Chiese, mura, torri e palazzi, tutti ancora vivi, vissuti e all’impiedi.
Quanta storia è trascorsa e quante testimonianze della Tarquinia o di Corneto che furono?
Mille vasi qui; una coppia di cavalli alati là; dipinti all’intorno; pavimenti e butti giù; una nave sotto; un affresco sopra.
Ogni momento, ogni scorticar di terra, può essere buono per riscrivere un tratto dell’umana storia.
Sembra quasi che qui, ciò che non è stato ancora scoperto, lo sia solo perché non è stato ancora trovato.
Cose più uniche che rare, preziosissime e introvabili, esclusive ed imprevedibili.
Come le chiese costruite avanti Cristo, ad esempio.