di Marco Vallesi
Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età.
Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico.
Le due righe sopra, estratte dall’art. 48 della nostra Costituzione, ben sintetizzano il valore dei principi democratici enumerati nella prima parte della Carta.
In queste poche parole c’è compreso un arco di storia in cui si sono combattute battaglie enormi per garantire a chiunque, uomini e donne, appunto, di poter esprimere liberamente le proprie scelte su chi indicare come loro rappresentante in seno alle Istituzioni, dal Governo dello Stato, alle Amministrazioni degli Enti territoriali e, giù giù a scendere, sino al consiglio direttivo della più piccola Associazione.
La libertà di scelta è garantita, oltre che dal suffragio universale, dalla segretezza del voto che deve risultare perfettamente anonimo, pena l’annullamento della scheda che recasse qualsiasi contrassegno identificativo.
Anche chi, ricevendo la delega di rappresentanza, dovrà amministrare, quindi decidere e deliberare, dovrà farlo in conformità con le regole democratiche indicate dal dettato costituzionale.
E le regole della Costituzione non prevedono discriminazioni tra cittadini né un limite alla libertà d’opinione che può essere espressa con qualsiasi mezzo e che, perciò, non può essere soggetta all’applicazione arbitraria e preventiva della censura (vedi art. 21 della Costituzione della Repubblica Italiana).
Nei casi in cui un soggetto possa ritenersi leso e/o danneggiato dalle altrui opinioni, le leggi ordinarie prevedono provvedimenti e sanzioni adeguate.
Ma se, nei palazzi del potere, queste elementari norme che sono la difesa, la vita ed il sale stesso di ogni democrazia, restano sconosciute o vengono ignorate, potremmo essere certi che il resto delle regole sia rispettato?
Ad esempio: in quale ambito normativo dovremmo ricercare la legittimità di ciò che è stato disposto dal sindaco nei nostri confronti?
Ormai è noto, l’insofferenza alle nostre critiche, alle nostre osservazioni e, addirittura, alle semplici segnalazioni di disfunzioni o anomalie mostrata dall’amministrazione cittadina si è finalmente resa palese con la cancellazione del nostro indirizzo dall’elenco dei “contatti stampa” del Comune di Tarquinia per volontà del sindaco.
Dobbiamo dirlo con franchezza: il fatto non ci ha stupito.
Nel tempo, gli episodi in cui vari rappresentanti della maggioranza hanno esternato il loro astioso disappunto, spesso privatamente e per interposte persone, si sono ripetuti a più riprese in occasione della pubblicazione di articoli che mettevano a fuoco carenze o incredibili sciocchezze.
Tuttavia, a quelle osservazioni, mai è stata opposta una motivazione esaustiva; mai esibito un documento che comprovasse un nostro fallo; mai una, seppur larvata, pubblica giustificazione e, men che mai, una parola di scusa per la grossolanità degli errori segnalati.
Così procedendo, ad oggi, secondo il volere di chi amministra la città, saremmo giunti a meritarci il silenzio stampa.
Ma la società cambia, evolve ed è supportata nel suo incedere dalla tecnologia e dall’accesso ai dati, dall’informazione libera e non pilotata e, nel nuovo vento che spira e sospinge i cittadini verso il desiderio di una democrazia rinnovata e trasparente, cresce una speranza.
Chi resterà asserragliato nel palazzo a difendersi, chiudendo le tende delle finestre, a spegnere le luci e a nascondere l’immondizia sotto il tappeto, si potrebbe accorgere tardivamente che, là fuori, la Democrazia e i suoi alleati hanno piantato le tende per un lungo ma, inesorabile, assedio.