di Vincenzo Cipicchia
Tra i vari comunicati che la nostra amministrazione ci ha abituato a leggere sulla stampa locale, ho letto con stupefatta ammirazione che la scelta per redigere il nuovo piano regolatore di Tarquinia ha infine trovato un nome – anzi, un grande nome, visto il suo curriculum – nella persona dell’architetto Cervellati.
Infatti, i progetti e le realizzazioni del suo studio sono modelli ed esempi ammirati in molte università europee e d’oltre oceano: basta fare una piccola ricerca sul web per rendersi conto dello spessore di questo Maestro dell’urbanismo. Inoltre, l’architetto Pier Luigi Cervellati, è titolare della cattedra di Recupero e riqualificazione urbana e territoriale alla Facoltà di Architettura dell’Università di Venezia, uno degli atenei d’architettura più rinomati d’Italia. Accogliamo con vero piacere il suo intervento.
Siamo infatti convinti che una personalità come quella del noto architetto potrà finalmente ben diagnosticare le anomalie profonde del nostro territorio, proponendo poi orientamenti e soluzioni per risanare un paesaggio gravemente segnato dalle urbanizzazioni selvagge di questi ultimi anni.
Vediamo in breve (magari lo svilupperemo in seguito più approfonditamente) quali sono il suo approccio sistemico e le tematiche fondatrici del suo lavoro. Prendendo spunto da una sua dichiarazione rilasciata ad Alessandra Mangiarotti ed apparsa sul Corriere della Sera: “Il bello in senso astratto è il preludio alla felicità, noi avevamo città straordinariamente belle e vivevamo in case povere. Ora abbiamo case belle e città brutte. Il preludio dell’infelicità alla quale la gente inizia a ribellarsi”…. capiamo subito che la sua concezione della città sostiene la tesi della conservazione e riqualificazione dei centri storici con il recupero delle loro funzioni primarie, la residenzialità e la piccola attività economica, professionale e artigianale. Non solo quindi rivalutare la centralità storica della città, ma rivalutarla socialmente ed economicamente togliendola, smarcandola, dalle derive del concetto di “Città Museo” o di “Centro Amministrativo” tout court.
Per esempio, in certi suoi interventi, propone l’utilizzo del piano terra come sede di attività – ogni tipo di attività – e solo nel piano terra, niente primi piani, volendo forse rifarsi alle pratiche urbanistiche che, dal medio-evo fino al risorgimento, hanno formato le nostre attuali città. Rivitalizzare il centro storico è dunque una delle sue priorità (… anche la nostra) così come la protezione delle aree protette e la pianificazione del paesaggio (e anche queste ci interessano molto).
Cervellati non si nasconde dietro un cartongesso professionale e ci parla di «modello statunitense» come modello negativo, che avanza nell’insipienza politica e culturale delle classi dirigenti. La «non città» è formata dalle “villettopoli” e da «non luoghi», quali il supermercato, gli svincoli autostradali, le nuove grandi opere… al non luogo corrisponde la non città; a quest’ultima, ovviamente, si associa la non campagna. Uno dei temi cari all’architetto Cervellati è il “contesto”. Per “contesto” si intende una situazione complessa in cui avvengono dei “fatti“, siano essi storici, sociali, paesaggistici… prevalentemente storici poiché, secondo lui, le mappe storiche ci guidano nell’individuare le aree da “rinaturalizzare”, con una funzione preminente di riequilibrio ambientale.
Il sistema dei canali, dei boschi, dei campi lavorati e del lido è uno strumento orientativo e organizzativo del territorio, che si dispone quale “monumento del paesaggio” , ponendosi da contro-altare per la stessa progettazione edilizia. Altra tematica legata alla struttura storica è il senso di rappresentanza e di comunicazione socioculturale, che si ha evidenziando il bel paesaggio. Una bellezza legata tanto ai valori estetici (paesaggistici e architettonici), quanto etici (che misurano cioè la qualità e l’identità di un insediamento). Per lui bisogna impostare il futuro senza distruggere la memoria, analizzare attentamente le aree pesantemente trasformate e cercare di re-integrarle in un nuovo progetto globale. Per riqualificare la periferia in “città”, il piano regolatore è infatti uno strumento, che deve essere prima di tutto scritto nella natura e nella storia del territorio, per individuare le specificità e codificarle in norme e regole con le quali sviluppare le attività umane. Natura e storia hanno risposte omogenee e consentono di individuare un obiettivo generale: l’integrità fisica e la salvaguardia dell’integrità culturale del territorio.
Identità culturale, ecco in sostanza cosa propone il metodo Cervellati e cosa ci serve assolutamente….basta con questi interventi sparpagliati e anedottici, deficenti di una visione globale. Un’attenzione particolare è data dalla sua propensione alla concertazione popolare, concertazione che è conditio sine qua non per un piano durabile.
In attesa della nostra futura città, ci chiediamo però come gli ultimi orientamenti politici riguardo la gestione del territorio tarquiniese avanzati – ma non condivisi con i cittadini – dalla nostra amministrazione, mi riferisco per esempio alla piattaforma logistica, si possano conciliare con le modalità proprie dell’architetto Cervellati per la riqualificazione del paesaggio territoriale tarquiniese.