Arte: quel che era, quel che è e quel che sarà

di Romina Ramaccini

Da anni si dibatte dell’importanza che la cultura riveste nella nostra società e di quanto quest’ultima, spesso, se ne dimentichi. Il nostro paese vanta, fortunatamente, una storia millenaria che ci ha permesso di avere un’identità riconosciuta a livello mondiale. Per quanto questo nostro passato sia unico e di notevole importanza, accade oggi che lo stesso risulti un ostacolo per molte delle espressioni artistiche contemporanee che cercano di affermarsi in un paese che tende a rigettarne il pensiero. L’imporsi costantemente delle bellezze del passato intralcia notevolmente l’affermazione di un presente, che per avere riconoscimenti, tende ad espatriare in paesi che, invece, ne fanno la propria ricchezza.

Così, oggi, ci troviamo in una situazione di stallo: niente valorizzazione e promozione dell’arte del passato, che ci limitiamo esclusivamente ad adulare certi (erroneamente) del fatto che questa non abbia bisogno di ulteriori parole, e niente apertura e conoscenza del nuovo, che da molti continua ad essere un orrore per i propri occhi, perché assolutamente non paragonabile ai capolavori di Leonardo o Michelangelo.

Ho sempre avuto tale pensiero, affermando il grave danno che tutto ciò sta causando e spesso e mi sono trovata in disaccordo con molte persone che, non conoscendo l’arte contemporanea, ripetono come se fossero concetti inculcati pesantemente nella loro testa che l’unica arte possibile è quella “di una volta” e che tutto quello che oggi ci vogliono spacciare per arte è solamente merce da macero.

Qui occorre una precisazione: l’arte è prima di tutto espressione di un pensiero e riflessione del proprio tempo ed è una logica conseguenza che il linguaggio, nei secoli, sia cambiato drasticamente. Ci troviamo in un’epoca dove alcuni valori sono del tutto scomparsi, in cui l’artigianato è stato soppiantato dalla tecnologia e dove da piccoli non si gioca più con le biglie, bensì con I-pad e videogiochi vari. Come può quindi l’arte non poter rappresentare il nuovo mondo con mezzi diversi da quelli del 1500? Proviamo ad immaginare oggi Michelangelo, intento a raffigurare la nostra società e non quella del suo tempo, dove la Chiesa prepotentemente controllava ogni singolo cittadino, imponendone atteggiamenti ed idee, dove per le strade delle città non circolavano mezzi a motori ma carri, dove bambini malconci correvano all’impazzata giocando nei verdi prati. Ora, non dico sia meglio o peggio, ma semplicemente che è un nuovo giorno e, quindi, non possiamo ancora guardare alle glorie del passato, comportandoci secondo le regole del presente. Recentemente ho letto un’intervista ad un artista contemporaneo, nostalgico di un’epoca che egli stesso ritiene l’unica giusta.

La si può leggere su http://www.bormionews.it/2013/08/27/intervista-con-umberto-verdirosi/ e ha come protagonista Umberto Verdirosi, figura camaleontica che spazia dalla pittura, alla scultura, al teatro. Nulla da ridire sulle sue doti artistiche e sulla sua formazione, che palesemente ha radici ben radicate nella conoscenza della nostra letteratura e del nostro passato, ma leggere le sue affermazioni mi ha portata ad avanzare questo mio pensiero. “La pittura si è fermata, non c’è più il progresso. Io sono un artista italiano e non mi rispecchio nelle correnti blasfeme del ‘900 americano. Dovremmo difendere la nostra storia e invece inseguiamo la banalità.” “Mirò non è un pittore, è una tragedia. L’impersonificazione della ripetitività. Vogliamo parlare di Fontana? Il vero artista non è lui, ma quello che ha venduto il suo quadro per nove milioni di euro”.

Si percepisce, da queste parole, il grande astio nei confronti di un’arte mercificata che propone cifre da capogiro per opere la cui esecuzione non ha nulla a che vedere che quella dei grandi maestri. Certo, non può mettersi in dubbio quello che è visibile ai nostri occhi, quindi la straordinaria formazione che un tempo avevano i nostri artisti che, fin dalla giovane età, erano inseriti a bottega presso i grandi maestri per apprendere il mestiere. Ma tutto ciò non può avere paragone, come già affermato, con quello che avviene oggi.

La poetica di Juan Mirò è pura poesia: le sue figure danzano sulla tela dando vita al suo pensiero, al suo sogno, che trova realizzazione in un mondo che non esiste, ma dove lo stesso Mirò tende a rifugiarsi. La sua arte riproduce un’evasione dal mondo in cui egli realmente vive. Le sue figure traggono ispirazioni da numerose suggestioni, quali l’immagine della donna, la stella, il cielo e così via, resi con un’espressività e sensibilità sempre diverse e, soprattutto, con quel senso di libertà che caratterizza la produzione dell’artista catalano.

Lucio Fontana, allo stesso modo, ha contribuito con i suoi “Tagli” ad un nuovo concetto spaziale: il taglio di Fontana è in primo luogo una ricerca di potenzialità spaziali ancora inesplorate, di luoghi dell’arte oltre e dopo la tela ed è in linea con i nuovi studi psicologici che si stavano affermando nel Novecento. Il gesto di Fontana, apre simbolicamente uno spiraglio nel buio, creando una luce che rappresenta una sorta di salvezza – forse salvezza per l’uomo e per la crisi di pensiero che sta affrontando – è un viaggio che porta continuamente avanti e indietro.

Questo siamo noi, oggi, anche grazie a quello che siamo stati ieri. Purtroppo per molto tempo ci siamo attaccati ad un passato che non può tornare, rimanendo fermi ad osservare chi invece continua ad andare avanti. Non dimentichiamoci infine che Warhol, con le sue molte opere, ha voluto immortalare la sua America, ironicamente riproducendo ininterrottamente le icone del momento e mercificando volontariamente la sua arte, rispecchiando così la mercificazione in atto durante il dopoguerra nella società americana. Ha preceduto ciò che avrebbe fatto pima o poi qualcun altro al suo posto, prevedendo prima di altri quale sarebbe stata l’evoluzione del mercato dell’arte.

In ultimo mi sento di esprimere ancora un pensiero: non fermiamoci solo a quello che vediamo, ma cerchiamo di andare oltre perché solo così possiamo decifrare i messaggi che i nostri artisti, oggi, cercano di dirci e solo così possiamo imparare a non distruggere ciò che ci rappresenta.