di Marco Vallesi
Sono del mese di ottobre 2011 le analisi effettuate dall’ARPA Lazio che hanno evidenziato il “ritorno” dell’arsenico nella rete idrica tarquiniese con dei valori che hanno obbligato il sindaco ad emanare un’ordinanza (qui fino al 31/12/2011) per vietare su tutto il territorio comunale – perciò non più solamente nelle aree per le quali era già stata emessa una precedente, specifica ordinanza – certuni usi dell’acqua erogata dagli acquedotti.
Stavolta, i valori riscontrati dall’Agenzia regionale (validi sino alla pubblicazione delle analisi del prossimo mese), mettono in luce il superamento della soglia dei 10 microgrammi/litro anche in quei punti di prelievo che interessano il centro urbano. Detti valori, pur non superando la soglia dei 20 microgrammi/litro (limite oltre il quale il divieto sarebbe di non potabilità assoluta) riportano– scusate l’ovvia espressione – a galla problemi non risolti ma, come vedremo in seguito, solo rinviati.
La nuova ordinanza anti-arsenico (qui scaricabile sempre), superate le premesse che motivavano, richiamano ed estendono la precedente, schematicamente riassunta.
Il divieto: riguarda, in sintesi, il consumo alimentare e potabile dell’acqua a partire dai neonati fino ai bambini con meno di 3 anni d’età e comprende anche le donne in stato di gravidanza; il divieto di utilizzare l’acqua erogata dalla rete idrica comunale per le industrie alimentari e per tutte le attività di preparazione degli alimenti in cui l’acqua costituisce elemento integrante e sostanziale.
La parte “impositiva” dell’ordinanza: ribadisce i divieti riguardanti la non somministrabilità dell’acqua ai soggetti sensibili (donne in gravidanza e neonati-bambini fino a 3 anni d’età) e, incredibilmente, obbliga le “industrie alimentari” “ad attuare i necessari provvedimenti anche nell’ambito del piano di autocontrollo, affinché l’acqua introdotta come componente integrante e sostanziale nei prodotti finali (acqua intenzionalmente incorporata negli alimenti) non presenti concentrazioni di Arsenico superiori ai limiti stabiliti dal D.L. vo 31/01 (10mcg/l) sotto il profilo sanitario.” .
Abbiamo mal compreso oppure si può dire che, i panettieri, i ristoratori, i gestori delle mense e tutti coloro i quali, nell’esercizio della propria attività per la preparazione degli alimenti aggiungano acqua ai loro prodotti alimentari, saranno costretti a dotarsi di un dearsenificatore o acquistare acqua esente dall’eccesso di arsenico indicato dal valore limite di 10mcg/litro?
Il trambusto sulla questione “arsenico”, scatenato dalla decisione della Commissione Europea, datata 28 ottobre 2010, che ha respinto la richiesta dell’Italia di ammettere come “normali” i valori di arsenico fino a cinque volte superiori alla norma nelle acque che uscivano abitualmente dai rubinetti dei 128 comuni del nostro paese, evidentemente, non è servito ad aumentare la soglia d’attenzione dell’amministrazione comunale, la quale, oggi, scarica sull’”industria alimentare” locale la responsabilità di mettere una pezza – onerosa – su un problema che doveva essere già radicalmente risolto dall’amministrazione stessa sia favore della salute della popolazione che delle garanzie igieniche per le attività produttive.
Come si ricorderà, con la negazione del rinnovo delle deroghe europee, l’intero comprensorio della provincia di Viterbo si trovò costretto a fare i conti con l’eccesso di arsenico trasportato dagli acquedotti sino ai rubinetti delle abitazioni e, laddove i valori erano oltre la norma, i sindaci dovettero affrontare la questione con “soluzioni” raffazzonate, la cui drasticità, fu direttamente proporzionale alla originaria sottovalutazione del problema.
Nel territorio tarquiniese l’arsenico è, come ancora evidenziano i dati dell’ARPA, “importato” in massima parte da acquedotti che attingono a fonti o pozzi distanti decine di chilometri dalla città e situati in aree geologiche di origine vulcanica.
Il fatto era già noto al sindaco che, in una nota diramata a fine novembre del 2010, tranquillizzando la popolazione, spiegava come il Comune di Tarquinia, avvalendosi di pozzi locali non contaminati dall’arsenico, riusciva a miscelare le acque dei vari acquedotti realizzando una apprezzabile riduzione della percentuale dell’inquinante per gran parte della rete di distribuzione delle acque.
Ora, a fronte dell’incremento del contenuto di arsenico nel complesso del sistema idrico locale, quali che ne siano le ignote, attuali e future cause, prima della imminente scadenza del mandato amministrativo, non potrebbero il sindaco e l’intera amministrazione disporsi ad attuare – loro – i “necessari provvedimenti” per chiudere, definitivamente la partita con l’arsenico evitando, da adesso e per il futuro, l’aggravio economico per l’approvvigionamento di acqua salubre che, altrimenti ed inevitabilmente, ricadrebbe sulle famiglie e sulle attività del settore alimentare?
In fondo, tutti, cittadini e imprese, già pagano – e non poco – l’acqua che consumano: pagare per non poterla consumare sarebbe oltremodo eccessivo.