Riceviamo e pubblichiamo
Sull’IMU in agricoltura occorre fare chiarezza. Spostare il problema sulle quote dell’Università Agraria è miope. È solo la punta di un iceberg assai più insidioso che rischia di affondare moltissime aziende agricole peraltro in una stagione impossibile come questa e in un periodo di crisi. Serve una seria mobilitazione.
L’Università Agraria versava al Comune di Tarquinia circa 170.000 Euro di ICI, oggi dovrà versare poco meno di 400.000 Euro di IMU. 157.000 Euro è l’IMU calcolata sui soli terreni ripartiti in quote, dai quali l’Ente introita un totale, compreso IMU, di poco superiore ai 300.000 Euro, al netto di quanto poi girato al Consorzio di Bonifica. Numeri alla mano incassano di più Stato e Comune con l’IMU dalle predette quote di quanto non faccia l’Università Agraria.
Il calcolo eseguito, quello previsto per legge: rendita, rivalutata al 25% per il previsto moltiplicatore di 135 per l’aliquota al 7,6 per mille. L’Università Agraria è infatti equiparata ad un grande proprietario terriero, il suo patrimonio conteggiato in maniera complessiva. Il 7,6 è l’aliquota fissata per legge in assenza di quella scelta dai Comuni, per il pagamento al 18 giugno.
Va ricordato che nella Provincia di Viterbo solo Tarquinia e Montalto di Castro pagano l’IMU e che nel Lazio nessun altra Università Agraria è assoggettata a questo tributo. La circolare n.3/DF del Ministero delle Finanze del 28 maggio specifica che in caso di concessioni il tributo è a carico del concessionario se riguarda demani collettivi. Finanche non riconosciuto dal Comune, l’Università Agraria non può eludere per legge detto principio.
La verità è che stiamo facendo gli esattori per conto di altri, ma non ci si può addossare la colpa della tassa più ingiusta della storia. Le quote dell’Agraria continuano ad avere costi inferiori a quelle di mercato. Non pagare non è la soluzione, se il gettito non sarà quello previsto il rischio è l’aumento dell’aliquota per tutti.
Il Presidente Avv. Alessandro Antonelli