Una tradizione di famiglia, quasi: di certo un’ispirazione comune che ora unisce tre ragazzi di Tarquinia in una professione bella quanto delicata.
Dopo l’esperienza di Chiara Giamundo, prima donna della storia della marina italiana a entrare tra i ranghi dei palombari, “raggiunta” nello stesso corpo pochi mesi dopo da suo fratello Ivan, è stata da qualche tempo la volta di Andrea Donninelli, cugino dei due ragazzi, completare il percorso che gli ha garantito di diventare palombaro.
“L’esperienza di Chiara e Ivan mi ha sicuramente motivato – racconta Andrea – ma sin da piccolo ho avuto una passione sconfinata per il mare. Non conoscevo questo corpo, ma quando ho saputo di Chiara mi sono attivato, a fine scuola, per provare ad accedervi”.
E così è iniziato un percorso tutt’altro che agevole, reso ancora più duro dal fatto che Andrea lo ha vissuto, per gran parte, nei tempi della pandemia e delle limitazioni nei contatti e negli spostamenti. “Il mio percorso è iniziato nel 2020 – racconta – quando uscì la domanda in marina come VFP1 e, in quell’occasione, scelsi anche il palombaro. Scelta che comporta un iter diverso da quello classico, con prove fisiche più impegnative e visite mediche più selettive: da 300 che eravamo in partenza siamo rimasti in 24!”. Un periodo vissuto per lo più a Le Grazie, frazione di Porto Venere, con esperienza poi a Taranto, per le fasi di abilitazione ai lavori in carena, Riva del Garda per l’esperienza in acqua dolce e Messina, per le immersioni profonde, o a Furbara, per gli esplosivi, con un periodo nel golfo di La Spezia per esercitarsi a prestare soccorso a sommergibili sinistrati.
“A ripensarci adesso è quasi indescrivibile, – racconta Andrea ancora emozionato – dopo un anno di corso e selezione, vissuti sin dai primi mesi lontani da casa in modo quasi assoluto. È stato difficile a livello mentale, lo è sempre nel percorso per diventare palombaro, forse ancora di più in quell’anno particolare in cui, a causa delle restrizioni per il Covid, siamo rimasti da gennaio ad agosto quasi sempre chiusi in caserma. Un fattore che è pesato, soprattutto mentalmente: anche casa e i miei ho potuto “viverli” solo in videochiamata, e questa distanza crea inevitabilmente tensioni. Ma tutto questo è un’esperienza che forma e fa crescere molto, che ti mette alla prova con te stesso, ti mostra i tuoi limiti e fa capire che puoi superarli. Nulla è impossibile, anche quello che il giorno prima ti pareva tale!”.
Ora per Andrea è in corso un’esperienza, la prima, in navigazione, imbarcato come nucleo subacqueo, per accrescere il bagaglio di esperienza sul campo e in mare tra Grecia, Croazia e Turchia, poi il ritorno a reparto per le attività di routine: immersioni, ricerche, studio perenne delle apparecchiature. “C’è sempre da imparare e studiare per migliorarsi e sarà fondamentale entrare a contatto con colleghi più esperti, pronti a spiegarti tanti aspetti e a farti letteralmente imparare il mestiere. Poi si sceglieranno le diverse specialità: io ho terminato a giugno il corso paracadutisti utile per il nucleo SPAG per soccorrere sottomarini sinistrati, altri si specializzano sugli esplosivi o sull’iperbarico, per scendere a grandi profondità”. “È comunque un’esperienza fantastica – conclude Andrea – e ci tengo, per questo, a ringraziare la Marina Militare”.