di Stefano Tienforti
Quando si tratta di salute pubblica, i nodi, prima o poi, vengono sempre al pettine. Nonostante la scarsa informazione o i tentativi di sminuire i problemi.
Il nodo, stavolta, è la eccessiva concentrazione di arsenico nell’acqua della rete pubblica di Tarquinia, dichiarata non potabile per quanto riguarda il consumo umano da un’ordinanza del sindaco Mazzola, di cui mai è stata data dal Palazzo comunale ampia diffusione tramite il consueto mezzo dell’affissione dei manifesti, limitandone la pubblicità alla pubblicazione in albo pretorio.
Il pettine, in questa metafora, è invece rappresentato dalla determinazione e dalla volontà dei cittadini di Tarquinia, che in via del tutto spontanea ed autonoma hanno scelto d’informarsi sulla vicenda e di attivarsi in proprio. Un’iniziativa scattata con la massima urgenza, alla ricerca di una soluzione che possa permettere a tutta la popolazione residente nel territorio di utilizzare senza rischi l’acqua della rete pubblica, in difesa tanto della salute generale quanto degli interessi economici di esercizi ed aziende che – se la situazione non migliorasse – dovrebbero ricorrere in proprio, ad a proprie spese, a strumentazioni per ripristinare la potabilità dell’acqua utilizzata.
E così, a fine novembre, quando i dati diffusi dalla Asl mostravano concentrazioni di arsenico nelle acque tarquiniesi ben superiori al limite massimo di 10mg/l fissato dalle direttive europee ed il Sindaco firmava l’ordinanza di cui sopra – senza far scattare una contestuale campagna informativa verso cittadini, esercenti ed imprese, ed anzi minimizzando il problema in un’uscita pubblica – un gruppo di tarquiniesi avviava una raccolta di firme per chiedere al Primo cittadino di “attivarsi con la massima urgenza” nel realizzare “senza ulteriori indugi gli impianti necessari alla dearsenificazione delle acque della rete idrica comunale”.
In breve tempo, il Comitato Spontaneo per l’Acqua Potabile di Tarquinia ha raccolto adesioni in numerosi ambiti della comunità cittadina, trovando decisi promotori anche e soprattutto nelle attività commerciali – in particolare bar, ristoranti ed esercizi legati alle attività di produzione alimentare – resisi presto disponibili a portare avanti la raccolta di firme che, anche per questo, ha proceduto a ritmi vertiginosi.
In un mese e mezzo, 1025 cittadini tarquiniesi hanno sottoscritto la petizione, che così, lo scorso venerdì 13 gennaio, è stata protocollata in Comune: un risultato notevole, se si considera che in un lasso di tempo brevissimo – e senza lo strumento, tipico in queste situazioni, dei banchetti pubblici in piazza, che si è scelto di non utilizzare per evitare qualsiasi tipo di strumentalizzazione politica – il Comitato è riuscito a coinvolgere, con tanto di firma, quasi un decimo della popolazione elettoralmente attiva di Tarquinia.
Una risposta decisa, insomma, della Città, che grida al Sindaco di voler essere informata, di non accettare o tollerare alcun tipo di minimizzazione, di volere rassicurazioni nei fatti – e nei dati delle analisi – e non nelle parole di un comunicato stampa.
La palla, ora, passa al Comune, che può scegliere la strada del dialogo con i cittadini oppure tirar dritto per la via sin qui intrapresa: in ognuno dei due casi, per i 1025 firmatari e tutti gli altri cittadini interessati alla vicenda il comportamento del Sindaco varrà come una risposta.