A Viterbo Sotterranea “Il Cielo di Dentro”: si inaugura la mostra di Laura Matteoli, l’artista livornese le cui opere sono utilizzate anche per la trasmissione televisiva Rai “Che Tempo che Fa”.
Atmosfere leggere, tonalità vivaci e calde che accendono lo sguardo, segni che si rincorrono in un vorticoso dinamismo di tonalità, linee, colori: è questo lo stile pittorico di Laura Matteoli, livornese di origine, ma pisana di adozione fin dal 1974 quando arrivò nella città della Torre per iscriversi alla Facoltà di Farmacia. Ma la vita e le molteplici passioni ed i molteplici interessi di Laura non l’hanno destinata a vivere dietro il bancone di una farmacia.
Donna curiosa, solare, aperta al mondo, colta, Laura, che oggi fa la bibliotecaria all’Università di Pisa, da sempre è stata attratta dalle arti visive e soprattutto dalla pittura a cui si è dedicata, da autodidatta, fin dal 1987.
I suoi primi olii, presentati a vari concorsi d’arte locali, hanno riscosso subito premi e consensi di critica. Con una carriera pittorica nelle mani di oltre trent’anni, Laura Matteoli si presenta nell’antica città etrusca e medievale di Viterbo con una personale “Il Cielo di Dentro” che verrà inaugurata sabato 26 Marzo, alle ore 17,30, presso Viterbo Sotterranea,ospite di Tesori di Etruria e del suo Presidente Sergio Cesarini.
In questa occasione l’artista presenterà alcune opere degli ultimi due anni tutte dedicate proprio al cielo. A tal proposito ricordiamo che nel 1992 Laura cominciò a lavorare con l’acquarello (che non ha più abbandonato), esprimendo una prolifica produzione di lavori su carta di piccolo formato, caratterizzati da un brillante cromatismo.
Fu all’inizio degli anni Novanta che Laura Matteoli cominciò a partecipare a numerose mostre, personali e collettive, che la fecero conoscere in importanti città italiane come Roma, Milano, Firenze, ed estere, tra cui Goteborg (Svezia) e Berlino (Germania) con la De Freo Gallery. Sue importanti opere sono state utilizzate anche per la scenografia della trasmissione televisiva RAI “Che Tempo che Fa”.
Negli anni successivi Laura Matteoli ha arricchito la sua espressività pittorica: accanto all’acquarello ha cominciato ad avvalersi dell’acrilico, del pastello, del collage e di materiali vari come pomice, malta e gesso. La sua opera è astratta, ma carica di segnali figurativi poetici e spirituali.
A Viterbo Sotterranea la mostra sarà presentata al pubblico dalla critica d’arte, di Milano, Cristina Palmieri che così scrive: “Una mostra inusuale questa di Laura Matteoli, la quale ambienta i suoi lavori nel contesto della Viterbo sotterranea, un reticolo di gallerie, scavato completamente nel tufo, che si estende sotto il centro storico per condurre oltre la cinta muraria della città. Uno dei tanti gioielli che la ricca storia della Tuscia ci ha lasciato in eredità, probabilmente in parte già risalente alla civiltà etrusca, ma ampliato nel periodo medievale col fine di creare tunnel sotterranei atti a porre in comunicazione le strutture nevralgiche della città. Cunicoli magici, solo parzialmente visitabili e percorribili, che hanno colpito l’artista pisana, portandola ad immaginare una mostra che potesse mettere in correlazione i lavori degli ultimi due anni, quasi tutti appartenenti al ciclo “mappe del cielo”, con questa realtà buia, labirintica, apparentemente un possibile tragitto verso i recessi del mondo e dell’universo.
Da sempre Laura, ma ancor più nelle opere dei tempi recenti, cerca di attingere dal reale, dagli stimoli che propone e che si debbono introiettare ed elaborare, per arrivare a manifestare l’impenetrabile e l’indecifrabile. Come già ebbi ad evidenziare in un precedente saggio sulla sua ricerca, questo lavoro è possibile solamente utilizzando la fantasia, il cui etimo greco (il verbo φαίνω, mostrare) riporta proprio al concetto di di svelamento.
La vita, così come l’universo tutto, è un complesso intreccio di contraddizioni, che costituiscono il lato oscuro della realtà, dentro e fuori di noi. La pittrice ne è consapevole, ma non consente che le dicotomie possano assumere un carattere manicheo. È preferibile, piuttosto, interrogarsi sul loro senso, ascoltarle, accettarle e porle in dialogo, così che il proprio percorso esistenziale possa acquistare un senso nella conciliazione e nella pacificazione. Bene e male, universale e particolare, terreno e spirituale, luce e buio, esteriorità ed interiorità, dentro e fuori, felicità ed infelicità, vita e morte sono tutte dimensioni coesistenti che ci si deve sforzare di armonizzare ed integrare affinché la dualità dell’essere non sfoci in tragedia.
Come insegnano le filosofie orientali, è questione di equilibrio. Che ci si riferisca a pulsioni, generi, emozioni, elementi, tendenze, il fine rimane il medesimo. Il cerchio del Tao ne è un eloquente esempio: da un lato il bianco con un punto nero, dall’altro il nero con un punto bianco. Il termine “Tao” significa “via”, intesa come cammino,
divenire di tutte le cose, che oscilla fra due estremi opposti, simbolicamente rappresentati dal bianco e dal nero del cerchio, ovvero lo yin (femminile, oscuro, passivo) e lo yang (maschile, luminoso, attivo). Lo aveva ben compreso Jung, attraverso i concetti di “animus” ed “anima”, ovvero di quel polarismo tra maschile e femminile insito in ogni essere umano, che necessita di riconoscere tale duplicità per poter pacificare se stesso ed esprimersi liberamente.
La Matteoli, dotata di una sensibilità rara, lo ravvisa in quanto accade anche nel cielo; luce e buio, sole e luna si alternano durante il giorno e la notte, come nel ciclo delle stagioni, che si susseguono, lasciando il posto l’una all’altra, in un moto perpetuo che testimonia il fluire ciclico del tempo.
Le sue mappe del cielo raccontano metaforicamente un percorso in primis interiore, un lavoro di ricerca che parte dall’ascolto, dal riconoscimento dei propri demoni, per esorcizzarli e arrivare, come l’uomo del mito della caverna di Platone, a poter guardare in faccia la realtà – ovvero la verità – senza esserne accecato.
Sono infatti opere intrise di luce, di aerea leggerezza, proprio in contrapposizione al buio dei cunicoli, che potrebbero ricordare una percorso verso gli inferi, un iter verso l’Ade della mitologia greca e romana. Rappresentano paesaggi possibili, in cui ravvisiamo – metaforicamente – il superamento dei limiti fisici e psicologici, la capacità di sganciarsi dalla pesantezza dell’essere che opprime tutti noi, per ascendere verso una dimensione di apertura al mistero, al soprannaturale, alla dimensione salvifica dell’ascesa al cielo. Dopo il buio è la luce, dopo la vita terrena l’eterno si spalanca. Possiamo guardarlo ogni giorno, consci che il suo bagliore non si spegnerà mai. Anche di notte il firmamento accende sopra le nostre vite traballanti luna e stelle. Il miracolo è lì, presente, e si rinnova ogni giorno.”