di Pino Moroni, tratto da apartofculture.net
Se per classici intendiamo i più grandi autori letterari della nostra umanità e tra questi alcuni tra i più grandi sono sicuramente romani, quest’anno il Festival Internazionale delle Letterature di Roma alla Basilica di Massenzio ha il titolo giusto “Il domani dei classici”, per rappresentare oggi la continuità della letteratura classica in uno degli ambienti più classici e conservati del mondo.
Ogni anno a Massenzio si rinnova la fortuna e la felicità di avere un luogo simile, maestoso ed elegante, accogliente e raccolto, con un programma di autori letterari internazionali così variegato ed interessante da far invidia a tutte le altre manifestazioni simili.
Ciò per dire che la introduzione sul programma del Festival 2019 dell’Assessore alla cultura di Roma, Luca Bergamo, del Presidente delle biblioteche di Roma, Paolo Fallai e della ideatrice e direttore Maria Ida Gaeta, con l’allargamento, oltre le otto serate con gli autori, alle serate musicali (Accademia di Santa Cecilia, Orchestra di Piazza Vittorio), ed alle serate cinematografiche (ricordo dell’Estate Romana Massenzio ’77) alla Casa del Cinema, ha dimostrato la rinnovata vitalità del Festival al suo 18^ compleanno.
Classico quest’anno era anche il concerto di accompagnamento alla prima serata con la musica degli Ars Ludi, i percussionisti Antonio Caggiano e Gianluca Ruggeri che hanno eseguito una composizione molto originale di Giorgio Battistelli “Orazi e Curiazi”, con sonorità che spaziavano dalle odi di guerra e di battaglia, di vittoria e di morte.
L’attrice Galatea Ranzi ha letto un brano del libro di Antonio Scurati (M. il figlio del secolo – Bompiani 2018) sulla nascita del fascismo in una riunione del 1919, in cui la presenza dell’ombra di 11 milioni di morti – come dice l’autore – e di 5 milioni di reduci, sarà la svolta per l’inizio di una nuova era inclusiva della storia della prima metà del ‘900.
Il poema epico è uno scritto letterario che narra le gesta storiche e leggendarie di un eroe o di un popolo, per tramandare la memoria e l’identità di una civiltà. Deriva dall’Epos greco, come racconto e narrazione di un mito, un passato glorioso di guerra e di avventure. Il racconto dell’epica è costituito dalle gesta di uno o più eroi con le loro particolari qualità fisiche e morali. Prima gli Aedi e poi gli scrittori hanno dato continuità ed eternità al racconto epico ed ai suoi eroi. La gloria è solo un’onda di luce piena che fa splendere l’eroe ed attraverso il racconto delle sue gesta arriva fino agli occhi dei posteri.
Ma se il racconto epico si è sempre nutrito di forti estimatori, l’inedito di Antonio Scurati risente di quello scetticismo demistificatorio, nato dallo studio più approfondito dell’argomento (Scurati ne ha scritto e scrive libri in materia). Il suo riferimento introduttivo a Simon Veil ed alle sue riflessioni sull’Iliade: Cosa è un eroe? Una cosa trascinata dietro un carro nella polvere. In una età post-eroica come la nostra cos’è oggi un eroe potrebbe invece diventare un’altra domanda: diventeremo orfani dei classici se la posterità letteraria viene sostituita dall’oblio? E se la lingua dell’epica che trasforma il presente nel mito tacesse per sempre – si chiede Scurati – potremmo essere senza avvenire, senza futuro?
Poi Scurati ha ricordato il terzo canto dell’Iliade, nel decimo anno della guerra di Ilo, quando gli eroi sono stati illuminati dalla luce della gloria ed hanno guadagnato il centro della scena. Il momento in cui Elena con gli anziani guardano e riconoscono dall’alto delle mura di Troia tutti gli eroi – in teichskopia come ha detto Scurati – . E’ quello lo splendore della gloria che sarà ricordato nella posterità. Un istante che sarebbe durato nell’eternità del mito. Considerato che i greci non concepivano la vita dopo la morte e l’Ade era un luogo triste ed oscuro, occorreva, distinguendosi dagli altri, manifestare la propria visibilità per la gloria imperitura del proprio nome, per ribellarsi al destino di morte. Solo gli istanti che rimangono nel mito sono l’unica religione dei greci, raccontata dagli aedi in una immortalità narrativa.
Questo nel passato, ma oggi in uno sfiduciato presente – ha continuato Scurati – l’epopea della luce è passata al nero. In letteratura Cormac MacCharty vede la fine dell’uomo nelle tenebre e non nella luce e sullo schermo Il trono di spade, pieno di eventi catastrofici, sono entrambi i segnali di un’epica diversa. Non c’è più un futuro di gloria tramandata alla posterità. Non ti devi affezionare a nessuno! Gli eroi non fanno in tempo a risplendere di gloria e sono già morti in un mondo senza futuro. Sono cambiati gli eroi, sono diventati individui comuni, umili, spesso oscuri, comici in un’epica buffa tragicomica.
Ma a ben guardare – conclude Scurati – è sempre la stessa vecchia storia, con il gioco dei regni che si scannano per il potere, il denaro, il sesso, la gloria, nel piccolo cerchio di luce gettato su di loro da un aedo cinematografico. Anche se idiota e senza senso appassiona milioni di fans perché oltre il cerchio di quel breve bagliore si apre solo una tenebra sempre più fitta.
Galatea Ranzi ha letto brani del romanzo In tutto c’è stata bellezza (Guanda 2019) Manuel Vilas, in cui l’autore, considerato uno dei migliori poeti spagnoli viventi, ricorda la sua vita quando erano vivi suo padre e sua madre, fantasmi che ritornano ad offrire il loro amore ad un figlio che per loro e per merito loro è diventato famoso.
L’inedito di Manuel Vilas I classici: la vita e la morte narra della fascinazione dei libri per lui stesso, che si rammarica di tutto quello che non è riuscito e non riuscirà più a leggere perché è mortale. Tutta la storia della letteratura – dice Vilas – è inedita per milioni e milioni di esseri umani che non leggono. Nessuno sa quante opere dell’antichità fino ad oggi si sono perdute nell’immensità della notte e del tempo e quante altre sono ancora sconosciute per milioni di esseri umani. Che spreco, che paradosso!
Il tempo tiranno e la vita più intensa portano l’autore al rammarico di non aver letto o riletto tanti classici e di non conoscere la letteratura russa, le poesie ungheresi ed il teatro polacco. Ma Vilas non vuole anche che qualcosa di quello che accade nel presente si perda e allora scrive di esseri umani per non far scomparire la bellezza della vita. Manuel Vilas con il suo inedito ha voluto fare una dichiarazione d’amore a tanti classici che ha amato. Come gli autori assassinati Federico Garcia Lorca e P. Pasolini, o quelli ignorati al loro tempo come Fernando Pessoa ed Edgar Allan Poe, i profughi morti in terra straniera Antonio Machado e Ezra Pound. I poeti Luis de Gongora e Paolo Neruda senza i quali il mondo sarebbe più povero.
Poi Vilas ha voluto rendere omaggio ai lettori perché insieme agli scrittori hanno la necessità di affrontare il mistero della vita. Quando un lettore – ha detto Vilas – apre un libro due solitudini collidono, due misteri. Abbiamo bisogno della letteratura per sentirci meno soli.
Poi Vilas ha raccontato una storia del suo cuore. Quando suo padre agli inizi degli anni ’60 aveva comprato una collana di grandi opere della letteratura universale: Dante, Cervantes, Dostoevskij, Kafka, comprati per il suo primogenito, cioè lui, perché suo padre non aveva la formazione per leggerli. Quei libri avevano accompagnato invece l’infanzia del piccolo Manuel che aveva avuto accesso ad una educazione superiore ed ha potuto poi scrivere. La letteratura – ha concluso Vilas – serve a farci amare di più gli altri e noi stessi a farci innamorare della vita e degli esseri umani.