(s.t.) L’Italia è il paese delle storie strane, a volte grottesche; di quelle a cui non pare possibile credere, per quanto contorte paiono rivelarsi le logiche che vi sono dietro. E così, quando se ne sentono alcune, si pensa che DEVONO essere per forza impossibili.
Ad esempio – facciamo uno sforzo d’immaginazione, io vi aiuto mettendoci nomi veri di città e cittadine reali – ipotizziamo che vi siano dei lavoratori, dipendenti dell’azienda che ha in carico la manutenzione della rete ferroviaria: quelli, per intenderci, che si vedono lavorare sui binari quando sono chiamati all’intervento per cause ordinarie o straordinarie.
E, in questa nostra fantasia, mettiamo che questi lavoratori vivano in diversi paesi – che so, Tarquinia ad esempio, e poi Monte Romano, o Civitavecchia – e che, come è logico, ogni mattina, pomeriggio o sera in cui entrano in servizio debbano recarsi a timbrare il cartellino.
Sin qui, direte, nulla di anomalo. E allora, proviamo a pensare all’idea più scomoda e strampalata possibile: che l’apposita macchinetta per timbrare e segnalare l’orario d’inizio e fine del proprio turno di lavoro venga posizionata non solo nella stazione della cittadina più lontana tra tutte quelle della linea ferroviaria interessata – nel nostro esempio, Montalto di Castro –, ma anche in una struttura che non prevede uno spogliatoio, cioè uno spazio riservato per cambiarsi o lavarsi prima e dopo il turno.
Il risultato sarebbe che, ad esempio, un lavoratore di Tarquinia dovrebbe ogni volta recarsi a Montalto – con la macchina o con il treno – timbrare, tornare indietro e far tappa a Tarquinia per cambiarsi. Ed ancor peggio sarebbe a fine turno, costretto a ripassare alla stazione della cittadina castrense per sancire la fine del suo turno, per poi tornare a Tarquinia, lavarsi, cambiarsi e, finalmente, raggiungere casa.
Il tutto considerando che, non potendo l’ipotetico lavoratore fare la strada dell’orto con l’auto, sarebbe soggetto agli orari dei treni, e chiunque ha un pendolare a casa sa che quelli sulla tratta in questione non sono frequentissimi. Ancor peggio, naturalmente, per chi vive nei paesi limitrofi, ed ah un surplus di spostamento.
Per cui provate a immaginare che, di giorno o di notte, col caldo e col freddo, queste persone debbano imparare a convivere con una scomodità che ha davvero del grottesco: e, subito dopo, iniziare il vero lavoro, quello fatto di fatica, sudore e traversine.
Siete riusciti a crearvi un quadro immaginario abbastanza realistico? Bene. Allora, adesso, provate a credere – se ci riuscite – che magari tutto quanto raccontato può non essere una fantasia e fatevi questa domanda: “E se questa storia fosse vera?”