(s.t.) “Credo che, scrivendo storie ambientate in momenti storici così diversi, dall’antica Roma al futuro prossimo, abbia quasi cercato di raccontarmi una storia alternativa”. Luigi De Pascalis – scrittore abruzzese di nascita ma tarquiniese d’adozione – è in fondo un viaggiatore del tempo, almeno dal punto di vista narrativo.
L’ultima volta che lo avevamo incontrato, infatti, era per parlare di Volgograd, romanzo di solitudine urbana ambientato nella realtà contemporanea; e dopo avere letto le sue storie nella Roma del IV secolo dopo Cristo – con la serie di Caio Celso -, nel passato recente della Grande Guerra con “La pazzia di Dio” -, al tramonto del Medioevo, con “Notturno Bizantino”, e persino nel futuro prossimo con “Il nido della Fenice”, oggi torna alla fine del XVI secolo per imbastire una storia al centro della quale c’è una delle figure più amate e discusse della storia dell’arte italiana: Caravaggio.
Un libro – “Il sigillo di Caravaggio”, appunto – di cui si parlerà assieme all’autore oggi pomeriggio, venerdì 22 febbraio, alle 18 e 30, presso la libreria La Vita Nova di Tarquinia.
Perché questo nuovo ritorno al passato? “Ho e visivamente scoperto Caravaggio, che già conoscevo, quando, ai tempi del servizio militare, facevo la guardia in Senato – ricorda Luigi – e, un giorno, uscendo, entrai in San Luigi ai Francesi: beh, accedendo quella luce nella Cappella Contarelli, è come se avessi visto il mondo a colori. Così, quando l’editore mi ha proposto di scrivere qualcosa su Caravaggio, la sfida mi ha incuriosito”.
Spingendo Luigi alla ricerca di spunti nuovi . “Sull’artista si è scritto molto, anche in termini di fiction e narrativa, – racconta De Pascalis – per cui ho rivolto la ricerca verso interrogativi nuovi. Ad esempio, Caravaggio è noto per essere stato al centro di molte risse, ed era così abile alla spada che lo si raffigura sempre con l’arma al fianco: ma dove aveva imparato l’arta di usarla? Ed ancora: de ragazzo era a Milano, nella bottega di Simone Peterzano, che si professava allievo di Tiziano, ma perché scappò dal capoluogo lombardo? Cosa successe?”
Vicende che gli storici hanno faticato a spiegare e che hanno portato De Pascalis su percorsi di ricerca anche specifici, sia per la costruzione della storia sia per garantire realismo al racconto. “Per descrivere i duelli – svela – ho ripreso in mano un manuale datato 1.500, utilizzando termini e formule in esso contenuti”. Verosimiglianza che passa anche dai dipinti, grazie ai quali Luigi ha ricostruito le immagini dei protagonisti della storia, tanto che un aspetto curioso della presentazione di oggi sarà il mostrare tramite diapositive le corrispondenze tra descrizioni e ritratti.
“Come ad esempio quello di Fillide Melandroni, cortigiana che appare in numerose opere, a partire da Giuditta e Oloferne”, entra nel dettaglio Luigi, che poi svela una curiosità: “Approfondendo questo lavoro sulle corrispondenze tra i volti dei soggetti delle opere e la realtà di Caravaggio, ho scoperto che il “cattivo” ha sempre la stessa faccia, con l’identico naso schiacciato. Un dettaglio su cui gli storici non riportano riferimenti particolari, ma che ha incuriosito anche il professor Claudio Strinati, con cui mi sono confrontato. E se devo azzardare un’ipotesi, penso possa trattarsi di Francesco Tomassoni da Terni, fratello dell’uomo che Caravaggio uccise”.
Non mancano, insomma, gli spunti, per avventurarsi tra pagine che – come è ormai caratteristico dello stile narrativo di Luigi – non vivono di un protagonista, ma di tanti personaggi (quasi novanta in questo caso) le cui storie, più o meno rilevanti, si intrecciano in una trama complessiva. “E questa è una cosa che ho imparato lavorando, ormai quasi venti anni fa, sulla biografia di Adriano Castellesi – rivela Luigi – Un’esperienza importante, che mi ha anche davvero insegnato come fare ricerca. Tra l’altro, proprio di Castellesi stavo scrivendo quando è arrivata la “chiamata” per Caravaggio”.
Ma c’è mai la tentazione di tornare alle origini, alla narrativa fantastica in cui Luigi ha mosso i primi passi nella scrittura? “Certo – risponde senza esitazioni – e ho anche in testa una storia che, a suo modo, racconta in veste fantastica la voglia di suicidio che spesso pervade la società contemporanea. Peraltro sono in giuria, in questi giorni, ad un premio di fantascienza: per cui ho bei volumi da leggere per alimentare questo ritorno di fiamma”.
Una chiacchierata vissuta al sole del giardino dell’Alberata, non può che concludersi con una domanda su Tarquinia. “Che è ferma a Cardarelli”, dice Luigi, proprio a due passi dalla ceramica che riporta il celebre verso del poeta. “In fondo – continua – in un paese a vocazione contadina, il concetto del fermo fa parte del mestiere. E per svegliare questo posto, non servirebbe poi molto: basterebbe riprendere tutte le cose che sono state lasciate a morire, a partire dalla cartiera, dal fiume, dalla Civita, solo per citare ciò che si può vedere affacciandosi da qua”.