di Fabrizio Ercolani
“Ciclopi, terremoti e bufere facciano quel che devono, io sono Marco Scolastici e dalla mia Itaca non me ne vado più”. Si chiude così ““Una yurta sull’Appennino – Storia di un ritorno e di una resistenza”, il libro scritto da Marco Scolastici, tarquiniese doc o come molti lo hanno definito il pastore che ha sconfitto il terremoto.
Una storia quelle raccontata da Marco che altri non è un’istantanea, attimo dopo attimo, giorno dopo giorno di come la vita può cambiare senza dare alcun preavviso ma a questo si può, anzi si deve, reagire. Una storia che poi altro non è che la sua storia. E quale Itaca? Nulla di sfarzoso ma una terra dai paesaggi incantevoli ed una yurta, la tipica tenda della steppa Mongola usata dai pastori, sobria ed essenziale nella dotazione, perché costretti a cambiare continuamente pascolo, è la soluzione temporanea per ripararsi dal freddo, e sopravvivere ai danni causati dal terremoto, che nel 2016 ha piegato quelle zone. Ma andiamo con ordine perché la storia di Marco Scolastici merita di essere raccontata passo dopo passo.
Marco è un ragazzo come tanti, cresciuto a Tarquinia ed iscritto alla facoltà di Economia a Roma, pieno di incertezze sul futuro. Poi un giorno, in un bar, si è imbattuto in una foto su un calendario: ritraeva il vecchio acero di Macereto, il Monte Bove, i pascoli in cui suo bisnonno Venanzio era cresciuto: curandoli, desiderandoli e infine comprandoli. Meno di una settimana dopo Marco ha lasciato la capitale. Il suo è stato un viaggio di ritorno verso casa difficile, talvolta doloroso, e quando pareva concluso la terra ha cominciato a tremare. Quella maledetta sera di fine ottobre 2016, tutto crolla nel senso letterario del termine. Il terremoto distrugge centinaia di piccoli centri del maceratese. L’epicentro è a Visso, a pochissima distanza dall’azienda di Scolastici. La casa, le stalle, il caseificio… tutto è inagibile. La ciclicità del tempo, i progetti banali, le abitudini. Le storie piccole di ogni giorno e le storie di generazioni.
Tutto non era più come prima, la terra aveva serrato i denti. In molti consigliano a Marco di andarsene, di abbandonare quelle zone diventate luoghi fantasma. Ma lui, testardo sognatore innamorato della sua terra, resiste. Resiste anche ad un terribile nevicata invernale grazie ad una yurta, la tipica tenda mongola. “Un cliente lombardo ci ha suggerito l’idea della yurta. Una ditta olandese ce l’ha installata gratuitamente. Poi è arrivata la grande nevicata che ha rischiato di far crollare tutto ma, spalando di buona lena, ne siamo usciti”. La yurta diventa così la casa di Marco, di quel ragazzo che ha deciso di restare aggrappato ai pascoli di famiglia, sulle montagne di Visso, cittadina sventrata dal sisma, nonostante la sua fattoria era inagibile.
“Il silenzio è diluito in tutto ciò che fa parte dell’altopiano. Anche per questo il terremoto è stato sconvolgente: per la prima volta ho sentito le montagne urlare e, dopo l’urlo, i rumori sono diventati gli stessi che si sentono ovunque. È stato così per settimane, mesi, poi lentamente la natura ha cominciato a ricucire le cose, come è avvenuto milioni di volte nella storia di questa terra. Tra poco il silenzio tornerà a essere intatto come lo era nelle prime settimane in cui esploravo Macereto alla ricerca del suo sussurro”. – scrive.
Un libro che lascia indelebili tanti insegnamenti. Ripartire dalle proprie origini. Non arrendersi. Ricominciare anche quando tutto intorno a te è crollato e il tuo mondo sembra distrutto per sempre e svuotato. Resistere per realizzare un sogno o per dirla così come Marco vorrebbe per raggiungere Itaca. La transumanza è una pratica in via di estinzione, ma la famiglia Scolastici, memore dei continui viaggi tra le Marche e la Maremma che nonno Venanzio faceva ad ogni inizio autunno, continua a lavorare tra montagna e pianura. Quella sui Sibillini è solo metà dell’azienda. Il resto è proprio a Tarquinia. E le produzioni sono il frutto di una passione per questo duro mestiere e della voglia di non mollare che è valsa a Marco il premio Rigoni Stern «I Guardiani dell’Arca”, alla tenacia e alla tutela di un ambiente naturale quale quello Appennino.