Riproponiamo, facendo seguito a quanto iniziato la settimana scorsa – nell’articolo trovate il link al pezzo di riferimento – un contributo di Anna Alfieri datato settembre 2009.
Il mio articolo “Cose di politica e di prostituzione”, ambientato a Tarquinia nel 1945 e apparso su L’extra nello scorso mese di agosto, ha suscitato in alcuni lettori una strana ondata di strani ricordi.
Per esempio, Vasco Palombini – che in tempo di guerra era un ragazzino vivace e curioso – mi ha raccontato, con forte emozione evocativa, di aver assistito nel nostro Palazzo comunale ad un drammatico e violento processo popolare istruito da improvvisati giudici locali ai danni di note ragazze che avevano avuto contatti carnali con i tedeschi. Ragazze che, marchiate da un brutale taglio di capelli, vennero poi trascinate davanti alla fontana di Piazza e lì esposte al pubblico ludibrio.
Ghigo Fortuzzi, da parte sua, mi ha invece precisato che gli americani, attesi liberatori dal giogo germanico, appena arrivati in paese organizzarono una casa di tolleranza in via IV Novembre, angolo viale Igea, nella villetta in stile liberty (ora scomparsa), espropriata senza tanti complimenti a Nerino Bertazzoni, che si arrabbiò.
I lettori un po’ più giovani mi hanno poi raccontato come, negli anni ’50, alcuni tarquiniesi notoriamente timorati di Dio si recavano al “Dollaro” di Civitavecchia, che era un’elegante casa chiusa gestita con mano fermissima da una mitica tenutaria universalmente nota come la Sora Mimma, e poi si vantavano delle loro imprese con gli amici del bar di Telesforo Cantina su pel Corso e con quelli del bar Impero giù da piedi piazza. Infine, mostravano a tutti le espressive fotografie da loro stessi scattate, le cui molte esplicite immagini, in tempo di dura censura democristiana, impressionavano fortemente gli avventori più giovani.
A mia volta incuriosita da tutte queste incredibili confidenze, ho deciso diligentemente di frugare fra le carte degli archivi locali, nella maliziosa speranza di trovarvi ulteriori notizie sui vizi nascosti dei tarquiniesi del ‘900, ma la ricerca si è conclusa con un nulla di fatto. In compenso, con mia grande sorpresa, ho scoperto che nella seconda metà dell’Ottocento, a Corneto, qualche volta si praticava la prostituzione clandestina nei retrobottega delle osterie. Ne fa fede il fascicolo giudiziario del 1 giugno 1874, numero 791 della Sezione di Pubblica Sicurezza della Sottoprefettura di Civitavecchia, nel quale si parla di un oste nativo di Vetralla che faceva venire da Ronciglione alcune prosperose ragazze da mettere a disposizione dei clienti in due camerette appositamente attrezzate presso la sua taverna nei dintorni di Piazza Belvedere. Sì è vero – si giustificò, ahimè, testualmente, l’oste incriminato – ma questo succedeva con l’intesa del Sindaco, il Cavagliere (sic) Luigi Dasti che sapeva tutto.
Giuro che vedere il nome del Cavagliere citato in un atto giudiziario riguardante la prostituzione clandestina all’inizio mi ha letteralmente costernata. Ma poi, scorrendo altri e forse più interessanti fascicoli, ho dedotto che il nostro illuminatissimo Sindaco era un uomo pratico e saggio, consapevole che solo tollerando il rustico meretricio delle osterie poteva forse calmare i bollenti spiriti di molti suoi cittadini impazziti dietro le movimentate sottane di alcune cornetane, belle e senza scrupoli, che facevano l’amore con tutti non per soldi, ma solo per gloriosa vocazione personale.
Una di queste era Mariuccia la Ciavattina che, sebbene maritata, di notte apriva volentieri la porta di casa a numerosi spasimanti e lo faceva a suo capriccio, scegliendo ora l’uno, ora l’altro, senza renderne conto a nessuno. Ma, ad infiammare il sangue dei torelli più scalpitanti, c’era soprattutto sua figlia Rosa che la dava a chi le pareva e che, ancora quasi bambina ma già molto smaliziata civetta, fece perdere la testa ad Arsenio Crisanti, apprendista sarto, e a Giovanni Martelli muratore, i quali, dopo essere stati sedotti ed abbandonati, la insultavano ovunque la incontrassero, creavano tafferugli al suo solo apparire in piazza e, a detta del Capoguardia, disturbavano la quiete pubblica perché tutte le notti andavano insieme sotto la sua finestra a fare schiamazzi e fischi e a bajare come cani. E che, una notte, quella del 20 luglio 1879, riuscirono a fare perfino di peggio, perché scrissero su tutti i muri di Corneto Rosa la figlia di Mariuccia la Ciavattina a roto la f……. e la fato con Arsenio e Giovanni, e sono tutte p…… all’ultimo piano del numero 3 di Via San Leonardo a casa della Ciavattina. Poi, non del tutto convinti di essersi spiegati bene, sparsero per le strade del paese decine di bigliettini diffamatori scritti a mano, che il Capoguardia raccolse e consegnò al Comune nel cui archivio sono tuttora conservati e affidati alla storia.
Rosa si maritò giovanissima, ma ciò non le impedì, mai e poi mai, di far felici tanti e tanti altri amanti. Tra questi, spiccava per fascino e intraprendenza Remigio Romani, un anarchico cornetano noto anche alle gendarmerie della Toscana e del Lazio per aver fondato una misteriosa “Società della Scopa” e per aver composto un inno contro tutti i Governi e tutti i Governanti del mondo, da cantarsi a tempo di tarantella. Remigio era, infatti, un sovversivo puro e duro, ma a suo modo anche fantasioso, creativo, allegro e perfino poetico. Eppure, quando il 22 marzo 1889 venne arrestato, ciò accadde non perché difendeva i diseredati, gli sfruttati o i derelitti, ma perché aveva picchiato a sangue Rosa della Ciavattina.
Sì, proprio la sua Rosa, Rosa la bella, Rosa la stella, Bocca di Rosa, che si era messa a frequentare le osterie e ora concedeva i suoi favori perfino a Blando Ferretti e Angelo Puccelli che a modo di vedere dell’atletico rivoluzionario senza macchia e senza paura erano due giovinastri che non valevano nulla.
Anna Alfieri