Riceviamo e pubblichiamo
Ritengo che l’incarico affidato ad un gruppo di progettazione di prim’ordine quale quello che si è aggiudicato la redazione del nuovo strumento urbanistico generale e che vede capofila il Prof. Arch. Pier Luigi Cervellati, meriti alcune riflessioni su come, ad avviso di chi scrive, le indicazioni politiche trasmesse ai redattori del piano siano determinanti per il futuro del nostro territorio.
Va detto preliminarmente che l’attuale Piano Regolatore Generale approvato nell’anno 1975 e redatto dallo studio di architettura Miarelli – Benedetti ha ormai esaurito il suo effetto in quanto, oltre ad essere “datato” come impostazione, appare oggi anche completato nell’uso delle aree individuate per i vari tipi di edificazione, per le infrastrutture, per le previsioni viarie dimostratesi ormai insufficienti oltre che in contrasto con la nuova disciplina paesaggistica.
L’importanza del nuovo strumento programmatorio credo sia tanto evidente quanto importante sotto il profilo della crescita corretta del nostro territorio da ritenere impensabile arrivare ad una sua stesura ed approvazione senza il confronto/contributo di tutta la cittadinanza e delle categorie economiche e sociali presenti nella realtà locale.
Per questo motivo ritengo che il percorso sin qui seguito dall’Amministrazione comunale sia del tutto insufficiente a garantire qualsiasi soggetto interessato al processo futuro della città e del territorio.
Riconoscendo, come detto, la massima capacità professionale agli elementi del gruppo di progettazione è evidente che l’attenzione va trasferita essenzialmente sulle scelte politiche che dovranno in qualche modo indirizzare l’azione dei tecnici sui contenuti del nuovo piano che potranno prevedere una previsione di sviluppo speculativo/invasivo o una soluzione più moderata/conservativa, finalizzata al recupero ed al miglioramento delle caratteristiche e vocazioni intrinseche dei luoghi.
Vocazione che ritengo debba indirizzare il piano alla riqualificazione del mondo agricolo con una razionalizzazione dell’uso del suolo da attuare anche attraverso la legislazione regionale vigente ( L.R. 38/99) prevedendo una edificazione più vicina ed appropriata alle esigenze degli agricoltori ed un uso residenziale di tali aree più contenuto e finalizzato al rispetto dell’ambiente ed alle effettive esigenze dell’azienda interessata.
In tale ambito dovrebbe pure essere orientata l’industria del territorio agricolo, attraverso una maggiore qualificazione degli impianti di trasformazione e conservazione dei prodotti agricoli allo scopo di raggiungere l’ormai vantaggiosa vendita dei prodotti a chilometro zero, molto praticata al nord del paese con risultati soddisfacenti.
Altri ambiti vocatori del territorio vanno necessariamente individuati nell’attività turistico – ricettiva legata al patrimonio culturale, tra i più famosi e conosciuti al mondo, nell’attività balneare, nelle risorse naturali e boschive, tentando di valorizzare ulteriormente quel patrimonio della collettività gestito dalla locale Università Agraria e che potrebbe contribuire, da solo, a creare un polo di attrazione non trascurabile portatore di lavoro e di turismo.
Non escluderei la possibilità di prevedere un porto turistico di “adeguate” dimensioni e “corretta” localizzazione che possa migliorare e qualificare l’offerta turistica e al contempo essere altra fonte di lavoro per piccole e medie imprese del settore nautico/cantieristico.
Una scelta che reputo invece negativa per il futuro di Tarquinia, sta nell’ incremento di aree industriali a “servizio” del porto di Civitavecchia, in quanto il nostro interesse in tal senso dovrebbe essere indirizzato alla sola complementarietà di tale realtà e finalizzato esclusivamente all’attività croceristica con una ricaduta nei settori più confacenti alla nostra realtà quali il turismo, il patrimonio storico, l’ambiente e quegli ambiti che sono le peculiarità del nostro territorio.
Poiché un aspetto non marginale del piano dovrà riguardare il settore immobiliare e dato che il dimensionamento in termini di cubatura è basato sull’incremento demografico, non va sottovalutato l’enorme comprensorio di S. Giorgio che, da solo, assorbirebbe l’intero sviluppo di previsione del nuovo piano.
Pertanto si dovrebbe porre particolare attenzione ad una possibile “revisione” degli indici delle attuali zone di “espansione residenziale” (zone C del Piano Regolatore) attribuendo loro, più correttamente ed in linea con la legge, una vocazione turistica con conseguente abbattimento dell’indice comprensoriale (circa 50%) a vantaggio di un limitato inserimento di aree edificabili a ridosso del centro abitato.
Nella sostanza ed a modesto avviso di chi scrive, Tarquinia avrebbe bisogno di uno strumento urbanistico a “cubatura zero”, puntando invece ad una riqualificazione del settore primario e potenziamento del terziario, della viabilità e, riferito al residenziale, un recupero e riqualificazione di quelle aree e volumi presenti in quantità consistente sul territorio e ad oggi degradati e non utilizzati, con la conseguenza di prevedere ampie zone di invarianti, a tutela del patrimonio agricolo, storico e ambientale, oltre che della fascia costiera fortemente caratterizzata da vincoli di natura paesaggistica e già abbondantemente “ferita” dalle lottizzazioni degli anni ‘60.
Riferito al recupero di immobili ed a puro titolo esemplificativo vorrei porre all’attenzione dei lettori su come il “ Borgo delle Saline” anziché essere abbandonato a se stesso ed in modo del tutto improduttivo malgrado gli investimenti pubblici effettuati, potrebbe essere inserito sul nuovo piano per un intervento di recupero abitativo finalizzato, ad esempio, all’edilizia sociale, salvaguardando l’aspetto storico e tutelando quegli immobili (quali lo stabilimento del sale) che hanno la caratteristica di archeologia industriale, da trasformare in percorsi didattici guidati.
Oppure prevedere su una parte del borgo un servizio agli anziani come casa di riposo “ diffusa”, per persone autosufficienti da inserire nel tessuto produttivo, coinvolgendo gli ospiti come guide della confinante riserva naturale e per i richiamati percorsi didattici.
Detto ciò vorrei fare un piccolo inciso sull’aspetto economico conseguente alle previsioni prospettate che, sempre a mio modesto avviso, e contrariamente a quanto si possa pensare, porterebbero ad un maggior coinvolgimento delle piccole e medie imprese locali in termini di lavoro.
Coinvolgimento da escludere a priori nel caso di previsione di grossi comparti edificatori che vedrebbero, come sta avvenendo per quelli in atto sulla costa, l’interesse e l’appetibilità dei grossi gruppi immobiliari e speculativi con conseguente ricorso a maestranze non reperibili sul territorio e quindi a discapito dell’imprenditoria e di conseguenza dell’economia locale.
Ovviamente l’argomento trattato è di tale importanza che bisognerebbe parlarne a lungo ma questa mia breve e sicuramente non esaustiva riflessione va letta come uno stimolo per l’apertura di un dibattito tra le realtà economiche e sociali del territorio, i tecnici, la cittadinanza tutta ( portatrice di un concreto e legittimo interesse) e l’Amministrazione, evitando di proseguire sulla strada sin qui intrapresa con incontri tra pochi e senza il contributo e la partecipazione, nelle scelte, della collettività.
Quindi se è vero che la democrazia è partecipazione e condivisione delle scelte comuni, dobbiamo dimostrarci democratici, di sinistra o di destra non ha importanza.
Luigi Calandrini