In attesa della visita tarquiniese, il prossimo sabato, della Regina di Danimarca, riproponiamo – direttamente da L’extra cartaceo dell’agosto del 2008 – un pezzo a firma di Anna Alfieri che parla delle visite tarquiniesi di un’altra sovrana europea. Con un curioso episodio…
Nell’ultimo decennio del secolo scorso, Giuliana Emma Louise Wilhelmina van Orange-Nassau, duchessa di Meclemburgo-Schwerin, principessa di Lippe-Biesterfeld, per trentadue anni sovrana dei Paesi bassi e madre dell’attuale regina Beatrice d’Olanda, veniva molto spesso a Tarquinia, con il solo apparente scopo di sedersi indisturbata a un tavolino esterno del Caffè dello Sport.
Nessun passante locale e nessun turista in cerca d’emozioni avrebbe mai potuto immaginare che in quella robusta signora ottuagenaria e lentigginosa, vestita di cotonina a fiori e portatrice di larghi mocassini bianchi, si nascondesse una delle sovrane più amate d’Europa: quella che nel suo pianeggiante reame andava al mercato in bicicletta, ma che in piena guerra fredda stupì l’Assemblea delle Nazioni Unite con uno spregiudicato discorso che auspicava (nel 1950!) un terza vita tra il comunismo sovietico il capitalismo americano.
Solo gli astuti frequentatori di Piazza Cavour, compresi gli avventori del Caffè Campanari, sapevano con esattezza chi fosse quella bonaria donnona in vestaglietta estiva e, proprio per questo, non la degnavano nemmeno di uno sguardo. Anzi, al suo regale apparire, sprofondavano con insolita attenzione nella lettura del loro giornale, o guardavano vacuamente nel nulla pur di non darle alcuna importanza. Si rianimavano solo più tardi, quando erano sicuri che la Sovrana se ne fosse andata davvero e, solo allora, abbandonavano la loro cornetana alterigia per congratularsi a vicenda, perché Sua Maestà, con il suo specifico atteggiamento democratico, ancora una volta non aveva deluso le loro aspettative di rudi maremmani anarcoidi e scojonati.
Giuliana amava molto l’Italia e dal 1980, anno in cui dopo un trentennio di onorato servizio aveva disciplinatamente abdicato in favore della figlia Beatrice, trascorreva tutti i mesi estivi a Porto Ercole. Qui divideva il tempo tra la sua amatissima villa abbarbicata sull’Argentario, chiamata L’Elefante Felice, e lo yacht reale grande come una nave da crociera, governato solo da altissimi ufficiali della marina olandese e chiamato semplicemente L’Elefante. Un natante così maestoso che – ahimè – faceva sembrare piccola come un guscio di noce anche una rispettabilissima barca, sua vicina di attracco, la Betelgeus che, lunga dieci metri, costituiva l’orgoglio di Mario Santi, avvocato tarquiniese.
La Regina giungeva nella nostra Città su una decapottabile celestina foderata di pelle color avorio, ed era accompagnata da un abbronzato autista vestito di blu, da una guardia del corpo con i capelli ispidi color rosso fiammingo, e da una segaligna dama di compagnia riconoscibile per il suo volto severo, il vestito grigio e soprattutto per le sue scarpe nere da suffragetta. Appena arrivati, i due uomini si sedevano al Bar Impero da dove controllavano la piazza, mentre le dame si sistemavano, come sappiamo, al Caffè dello Sport, dove consumavano una bibita o un té, qualche volta un tramezzino, e da lì contemplavano la facciata del Palazzo Vitelleschi di cui, sicuramente, conoscevano a memoria ogni gotico ricciolo e ogni marmoreo fregio rinascimentale.
Ciò nonostante non facevano mai, e poi mai, nulla di diverso, Ad un certo momento, come richiamati da un ordine misterioso, tutti si alzavano all’improvviso e partivano per Marina Velka. Si, per Marina Velka dove – ecco sciolto l’enigma di quelle inspiegabili visite – la Regina si ricongiungeva con Bernardo di Lippe-Biesterfeld, suo ineffabile e decorativo Principe Consorte, nonché discusso personaggio dell’alta finanza internazionale, il quale tutti i martedì veniva dalle nostre parti a disputare qualche comoda partita di golf, resa poco faticosa dalla solerzia dei suoi servizievoli valletti.
Il pomeriggio del 7 settembre accadde una cosa che la Regina Giuliana, da anni assuefatta, anzi rassegnata, alla greve indifferenza dei cornetani, non si sarebbe mai aspettata. Uscendo da Tarquinia si accorse, con immensa sorpresa, che una folla festante, assiepata davanti Palazzo Vitelleschi e intorno alla Barriera San Giusto, faceva ala al suo passaggio. Per qualche attimo restò interdetta, cercando di capire la ragione di tanti inattesi festeggiamenti. Ma poi, essendo una sovrana naturalmente ben disposta nei confronti del popolo anche quando non ne comprendeva gli umori, cominciò a salutare tutti con eleganti piccoli cenni della mano e della testa, sorridendo ora di qua e ora di là, con regale condiscendenza.
Purtroppo nessuno degli astanti, del tutto ignari che davanti ai loro occhi stava passando la Regina d’Olanda, fece caso a quell’atto di suprema eleganza. Solo i pochi frequentatori abituali di Piazza Cavour, presenti all’evento, colsero con intimo sgomento, nello sguardo della Regina, che solo loro conoscevano, i segni di un leggero e senile stato confusionale. Disorientamento che aumentò quando, in un’atmosfera ormai surreale, la macchina dell’anziana Sovrana in vestaglietta a fiori incrociò, proprio alla Barriera San Giusto, una carrozza a due cavalli che entrava trionfalmente in Città, portando con se una radiosa ragazza bionda, bella e fresca come una rosa di maggio che, avvolta in un leggero abito di chiffon ricamato perline e paillettes, distribuiva baci e saluti universalmente ricambiati. Come una vera Regina nel giorno della sua incoronazione. E di incoronazione si trattava perché la Reginetta trionfante era Tamara Bendotti, gloriosa finalista tarquiniese del concorso Miss Italia 1998.
Come diceva Manzoni, i fatti descritti “c’eran sembrati così nuovi, per non dir peggio, che, prima di prestargli fede, abbiamo voluto interrogare alcuni testimoni… Una tale indagine dissipò tutti i nostri dubbi…” Insomma, per quanto possa sembrare frutto di fantasia letteraria, quanto scritto è realmente accaduto.
Anna Alfieri