di Francesco Rotatori
Se ancora si inneggia al potere benefico della guerra, “igiene del mondo” per i Futuristi, e le distruzioni nel contemporaneo non fossero sufficienti, una mostra a Possagno dal 25 luglio 2015 intende svilire il falso mito della bellezza bellica: si intitolerà ANTONIO CANOVA. L’ARTE MUTILATA NELLA GRANDE GUERRA e sarà visitabile fino al 28 febbraio 2016 nel Museo Gipsoteca Canova.
La custodia dei calchi delle più famose opere di Antonio rende questa una delle collezioni più importanti, in quanto ci permette di percorrere idealmente l’intero iter dell’artista senza per questo essere costretti a viaggiare da uno stato all’altro, di galleria in galleria. Alberto Prandi e Mario Guderzo hanno allestito all’interno della splendida costruzione un’area destinata al culto della memoria, di quella però non gloriosa o ricca di munificenze, ma una memoria ferita, che si innalza ancora più teatralmente sulle rovine del passato.
Ci ritroviamo a pensare come impossibile la distruzione di un manufatto artistico di eccezionale valore, eppure le catastrofi a cui l’ignoranza umana negli ultimi tempi hanno dato adito- l’abbattimento dei templi ellenistici nel Medio Oriente, dell’enorme Buddha in Afghanistan o del minareto di Samarra, unico nella sua specie di torre di Babele- ce ne hanno dato un lauto esempio.
Ma qua ora si riflette su come lo spettro della guerra non guardi alla nazione o al colore della pelle, semplicemente annienta ciò che incontra lungo il suo cammino: e così nel 1917 a Possagno gli austriaci sganciarono una trentina di bombe che squarciarono l’intera collezione. Ora in mostra sono esposte le foto di quella violenza inaudita, accompagnate dalle statue violate che, impossibilitate più di altre a essere restaurate, hanno atteso la loro fine nei depositi. Fortunatamente molte delle sculture hanno potuto acquisire la loro forma originaria, ma pensare che alcune non potranno tornare in sé ci fa spavento, perché ciò è avvenuto non in un lontano passato, quando le scorrerie erano all’ordine del giorno, ma all’incipit di un secolo, il Novecento, che è alla radice di tutto ciò che oggi, in bene e in male, fa parte della nostra comune realtà.
Così osservare l’Ebe in frantumi fa venire i brividi, lei che è dovunque celebrata come effige nel gusto neoclassico e dell’insuperabilità del genio canoviano. E accanto la fotografia di alcuni soldati francesi che si divertono a giocare a calcio, ma stavolta la palla è il gesso della testa di Paolina Borghese, la divinità che nelle sue forme perfette ci invita ad accomodarci e a discorrere con lei mentre stiamo visitando la Galleria Borghese a Roma.
Una bellezza sfregiata, e non è che una di una lunga serie di rovine che l’uomo ha creato, lui che con il suo potere e il suo ingegno può dare forma alla perfezione assoluta. E questo è un omaggio non solamente a quella che un tempo fu bellezza, e ora è denigrata a sasso o a pietra, ma anche e in primis a quel Canova che non si è disdegnato di farsi riconsegnare da Napoleone la gran parte dei tesori che il conquistatore francese si era portato nei suoi possedimenti. E’ grazie ad Antonio se oggi possiamo vedere il Laocoonte o la Trasfigurazione di Raffaello là dove tuttora possiamo accedervi.
E’ quindi perciò questo un canto lirico, una poesia di Ungaretti innalzata da un labbro rotto o da un volto cavo che non parlerà più con l’osservatore, un monito, perché se sono i soldi che fanno girare il mondo, l’uomo non dimentichi che la vita esiste perché c’è un cuore che batte, e non un portafogli che rilascia banconote.