Riceviamo e pubblichiamo
Gentili redattori,
il racconto che vi trasmetto mi è stato gentilmente sollecitato da Anna Alfieri e si inserisce nel filone dei ricordi dei tarquiniesi del periodo tragico e convulso dell’ultimo conflitto mondiale. In particolare si riferisce ad un episodio a cavallo della battaglia del Mignone e dell’arrivo in paese degli alleati, cioè inizio giugno 1944. I ricordi sono di mia madre e di sua sorella Vincenza Luccioli (classe 1931).
La famiglia di mia madre, Luccioli Maria Caterina (classe 1937), era “sfollata” alle grotte di Villa Tarantola e suo padre Serafino Luccioli coltivava, in mezzadria con la famiglia Proli, un terreno agricolo al Piano, oggi sarebbe di fronte alla macelleria biologica, dove era anche posizionato un cancello. Qui transitarono le retroguardie dell’esercito tedesco in ritirata durante le fasi concitate della battaglia del Mignone. Tra questi, molti giovanissimi, anche in bicicletta e anche di nazionalità austriaca. Ebbene, uno di questi ragazzi fu abbandonato morto proprio sulla strada all’altezza del succitato cancello del Piano. Mio nonno Serafino, persona di grandissima umanità e sensibilità, non poté fare a meno di dare pietosa sepoltura a quel soldato, apponendo una croce con l’elmetto sul tumulo, proprio nel punto del ritrovamento del corpo, cioè di fronte alla odierna macelleria e non lontano dall’attuale edicola.
Tale gesto di cristiana umanità, causò però problemi a mio nonno. Infatti, con l’arrivo degli alleati dopo il 6 giugno, la costatazione che in quel punto il contadino italiano aveva osato seppellire con tanto di croce ed elmetto un “nemico”, causò l’ira di alcuni militari americani che per sfregio iniziarono a distruggere con le baionette i cocomeri del campo di mio nonno. Serafino Luccioli gentilmente chiese loro di prendere i cocomeri che volevano mangiare, ma di non distruggere il resto del raccolto, all’epoca tanto prezioso per tutta la famiglia. I militari a questa reazione si arrabbiarono ancora di più e lo minacciarono con le armi da taglio e da fuoco. Intervenne quindi prima il figlio, Giuseppe (Peppe) Luccioli di 11 anni, che si frappose tra gli americani e mio nonno cercando di difenderlo e di mandarli via urlando e piangendo, ma fu risolutivo e provvidenziale l’intervento del vicino di campo di mio nonno, tale Francesco “Checco” Viscarelli, uomo di grande coraggio e soprattutto grande mole e forza che, sentendo le urla, arrivò di corsa brandendo un forcone. Alla vista di quel gigante, gli americani preferirono battere in ritirata e ai miei parenti, per quella volta, andò liscia. In seguito, mio zio Peppe aveva preso l’abitudine di collocare spesso qualche fiore di campo su quella croce. La sepoltura rimase per alcuni anni in loco, fino a quando rappresentanti del governo tedesco vennero a traslare i resti del militare in Germania.
Una curiosità collegata a quel periodo riguarda il fatto che ancora oggi, dopo oltre settant’anni, la famiglia Luccioli possiede il tavolone da mensa che gli ufficiali tedeschi usavano al tempo a Villa Tarantola che, dopo la loro ritirata, mio nonno si affrettò a mettere da parte e che ancora oggi usiamo in occasione di feste e pranzi.
Saluti e buon lavoro,
Stefano Celletti, Tarquinia