di Francesco Rotatori
In quello che una volta era un vecchio edificio abbandonato di San Lorenzo fino agli anni ’60, un gruppo di giovani artisti emergenti ha portato una ventata di originalità e vita rinnovata.
Si deve proprio agli allievi del maestro Toti Scialoja (al cui grande genio si sta dedicando ora una retrospettiva al MACRO di via Nizza), conosciuti sotto l’emblema di “gruppo di San Lorenzo”, la riconversione del complesso del Pastificio Cerere (fondato nei primi del Novecento e potenziato sotto il regime fascista) a nodo focale per l’arte italiana.
In quei grandi spazi Bruno Ceccobelli, Nunzio, Gianni Dessì, Pizzi Cannella, Marco Tirelli e Giuseppe Gallo hanno montato e allestito non solamente mostre e personali, ma anche i loro studi privati- resi accessibili al pubblico nel 1984 da Achille Bonito Oliva nell’esperienza comunitaria di ATELIERS- e tuttora i piani superiori della costruzione risultano adibiti a uffici e sale di personaggi d’arte italiana e internazionale, in un costante scambio con l’Europa e il globo.
Ancora per pochissimi giorni, fino al 30 maggio, potremo osservare al piano terra la delicata esibizione dedicata a Giuseppe Gallo con l’intento di celebrare i dieci anni dell’attività della Fondazione e i centodieci del monumentale complesso. IL QUINTO QUARTO, a cura di Marcello Smarrelli, si presenta come una retrospettiva in cui soprattutto spiccano piccoli brani di carta, esposti a due a due, che come le poesie orientali non vanno oltre la dimensione naturale; sono come delle gocce di colore che si perdono nel fluire di un fiume, a cui basta un minimo di attenzione per divenire liriche e complessi eufonici dell’anima. D’altronde se per “quinto quarto” si intende comunemente ciò che resta delle interiora degli animali macellati, allora non possiamo non comprendere questo percorso iniziatico tra i dittici a partire da una maglia di cornici che pare quasi di bambù. Sono porzioni di legno intagliate che dividono lo spazio della sala in due parti speculari: da una parte è il mondo retto delle linee, irreale, irraggiungibile, perfetto, dall’altro la realtà contaminata, il sensibile, il ristagnante.
Lungo questo tragitto, a indicarci il cammino sono due grandi tele, Secondo Aureo e Terzo Aureo, qui esposte per la prima volta, che fanno aggio non solo sui contenuti alchemici- che fin dagli albori hanno condotto l’uomo col suo operare a mettersi in misura e dialogo con la natura- ma anche su astrazioni di perfette proporzioni.
Michelangelo che pensa Brancusi gioca sull’ironia e sulla ripetizione di due stilemi scultorei- l’appesantito volto del Buonarroti e la colonna gigantesca di Costantin- in un’empatica esperienza, la quale risulta spaesare il fruitore mentre volge insospettito lo sguardo verso la parte alta della parete, dove come un pensiero metallico emerge la composizione.
In fondo Gallo ci sta soltanto chiedendo di fare con lui un viaggio, solo che stavolta a camminare è l’anima con la mente e non il corpo con i piedi.