di Francesco Rotatori
Sarà pure giovanissima, ma Margherita Ferro affronta già problematiche profonde e dal forte impatto. Prima fra tutte una costante e incessante dialettica col Vuoto, che da oblio nel quale far pendere i nostri sogni infranti si tramuta, nella sua ottica, in una enucleazione complessa da cui far emergere pressioni, potenti incombenze, conflitti irrisori che la psiche quotidianamente pare eclissare.
E’ un baratro che rifulge nello splendore dell’invisibile, dove la vita impazzita, inquieta eppure così cara alla nostra routine è oscurata dall’attrazione del silenzio, dalle riflessioni ferme sui cicli dell’esistenza, dalle esigenze che spuntano fuori come macchie dell’anima.
Nella sua ultima personale, CHROMOMOVES: MOVIMENTI CROMATICI, Margherita Ferro ha indagato ancora di più, cercando di carpire l’invisibile regno che sorge al limite della coscienza razionale e lasciandolo fluire attraverso di sé. Sono come mura le sue tele da cui improvvisamente comincia a trasudare un’entità, un qualcosa si muove e si rigetta all’esterno, ma nel momento in cui lo afferriamo sfugge via, si autoeclissa nel suo inaccessibile e affascinante essere-al-di-là.
L’acrilico, una volta dominato, è volutamente liberato nell’acqua che lo scioglie, e una volta asciutto è isolato da strati di olio e a volte di bitume, così da mantenere in vita quel suggerimento cromatico fondante.
Nella serie Corpographia, foto digitali realizzate con la webcam, la ragazza analizza un corpo diafano, che sommessamente sparisce nella rarefazione dell’apparenza: è come il vapore che nasce dal matrimonio dell’acqua scrosciante e del fuoco della lava di un vulcano; di esso rimane l’aria che se ne vola via e la scia nera a terra, cenere finale della trasmutazione.
Nelle sue incisioni, siano esse litografie, serigrafie o calcografie su zinco o plexiglass, Margherita affronta l’intricata selva di segni come se quel Vuoto si fosse materializzato nel materiale e solidificato nel tratto. Può essere allora un labirinto da cui ricavare un corpo o un volto frantumati, talvolta è una bruta cicatrice che squarcia l’ipocrisia della nostra realtà, altre è un invito a quello che più ci spaventa, un nulla disarmante che allo stesso tempo ci affascina nel suo gorgogliante risucchio.
“In un momento in cui tutto è diventato frenetico e assordante, dove tecnologia e media ci sovrastano velocissimi e appiattiscono ogni nostra comunicazione in una crosta uniforme e omogenea, cerco un altro modo di esprimermi che superi i limiti della rappresentazione oggettiva e sensibile ed oltrepassi ciò che è visibile fino ad arrivare all’essenza dell’invisibile”
Un’essenza che, pur misteriosa, non tarda a mostrarsi epifanicamente all’interno della nostra psiche lacerata.