di Stefano Tienforti
Corrado Chiatti, tarquiniese laureando in Arti Visive all’Università IUAV di Venezia – ma adesso a Parigi per una borsa di studio di sei mesi – ha vinto assieme ad altri due ragazzi co-autori – Chiara Faggionato e Daniele Tucci – il Premio Concorso Internazionale alla quinta edizione del Ca’ Foscari Short Film Festival di Venezia, al quale i tre hanno presentato il cortometraggio Ardeidae. La cerimonia di premiazione è avvenuta lo scorso sabato, 21 marzo, presso il Teatro-Auditorium Santa Margherita, a Venezia.
Un progetto nato – nel contesto di un laboratorio di cinema e documentario in università, a Venezia – dall’esigenza di cercare di riflettere sulla situazione della città. “Vivendo a Venezia – spiega Corrado – ti rendi conto di come ci sia un ritmo complesso e differente tra le zone della laguna: è presente una frenesia turistica che corre ad alta velocità che si concentra solo in pochi punti di attrazione, con una modalità di fruizione della bellezza molto rapida. Lo spazio viene occupato quasi inconsapevolmente. Dall’altra parte ci sono luoghi troppo spesso dimenticati dalla logica turistica, in cui il tempo sembra scorrere più lentamente, che richiedono una maggiore contemplazione e riflessione. Ecco: con Chiara e Daniele, che ringrazio di cuore,siamo partiti anche da queste suggestioni per sviluppare la nostra idea sulla città. Una realtà modificata dal turismo selvaggio”.
Quel che ne è uscita è un’opera sorprendente, nel senso che letteralmente riesce a spiazzare lo spettatore, proiettandolo in una realtà quasi metafisica, irreale. Una consapevolezza che, in chi osserva, giunge dapprima a fatica, poi con evidenza quasi brutale: merito dell’ottimo lavoro di combinazione tra le immagini e le parole, i cui contrasti sono, probabilmente, la vera chiave di lettura dell’opera. Parole che la maggior parte dei fruitori occidentali finirà per cercare nei sottotitoli, già che i testi audio sono tutti in cinese; così come cinesi sono i tre protagonisti, in riferimento alla sempre maggiore presenza di orientali in città. Ed è al singolo fruitore che spetta il compito di immaginare se il corto evochi il fantasma delle bellezze veneziane a contrasto con la desolazione di luoghi in disuso, o se al contrario non sia quell’abbandono lo spettro che attanaglia – o forse condanna? – la Venezia (e le tante altre realtà urbane simili) di oggi. Se l’opera sia una riuscita provocazione o una orrenda premonizione.
Al di là del concetto, la suggestione della produzione dei tre ragazzi si sostiene molto anche su una fotografia ricercata e di impatto sì forte, ma mai eccessivo o violento. Ad “aiutarli”, in quest’opera, i luoghi scelti per ambientare i singoli momenti, tutti nel cuore della laguna veneziana: dall’isola di Pellestrina agli stabilimenti abbandonati di Porto Marghera.
Per Corrado si tratta perciò di un traguardo professionale prestigioso – considerando come in concorso ci fossero trenta cortometraggi da ogni parte del mondo – ma anche della conferma che la strada di studio e ricerca intrapresa lo porta a risultati di qualità. Una strada partita a Viterbo, con la laurea in storia dell’arte – arrivata mentre a Tarquinia sperimentava le prime attività di curatore indipendente, in quell’esperienza breve ma intensa che fu Zinghereria – e proseguita prima alla GNAM di Roma, quindi a Venezia. “Si tratta di una scuola sperimentale unica in Italia – spiega Corrado – con laboratori e insegnamenti teorici di vario genere, dall’estetica alla filosofia politica, dal cinema alla filosofia della scienza; la cosa interessante, per me, è la modalità didattica, che prende le distanze dalla più tradizionale lezione frontale: non siamo più studenti che assistono passivamente ai corsi, ma parte integrante della didattica, proponendo testi, argomenti da toccare, organizzando eventi e mostre. Ma ciò che dà più valore al mio percorso è lo scambio continuo con i miei compagni e colleghi di corso”.
Ma a Corrado la soddisfazione per il Premio è arrivata all’ombra della Torre Eiffel, o meglio tra le vie colorate e vivaci di Belleville. “Questa a Parigi è un’esperienza temporanea – racconta – salvo prolungamenti della borsa di studio resto sino a luglio, poi torno a Venezia per la tesi. Qui sto seguendo un laboratorio di arte partecipativa e creazione collettiva legato ai Laboratoires d’Aubervilliers, che mi interessa molto perché mi permette di proseguire il lavoro che sto facendo in questi mesi sul concetto di comunità e di arte dell’esistenza, ed un corso molto interessante sui dispositivi cinematografici e la questione della memoria legata all’immagine”.
“Stando fuori da parecchio però – conclude – il richiamo di Tarquinia è forte. Qui comunque sto bene: abito sì in una grande città, ma in un quartiere tipico: e in fondo credo che chiunque venga da una piccola ma splendida realtà come la nostra abbia la tendenza a cercare luoghi che danno, in qualche modo, la sensazione di accoglierti”.