Cesare Brandi, studioso poliedrico, storico e critico d’arte, ideatore de La Teoria del restauro, guardando alla pittura di Giorgio Morandi ha annotato: << appare maltita, appannata dai contatti umani… la durata è infinita>>.
A questo “inattuale” – nel senso di un conservatore al di qua delle Avanguardie artistiche del primo Novecento- il Complesso del Vittoriano dedica la stagione primaverile fino al 21 giugno con la retrospettiva GIORGIO MORANDI 1890-1964 curata da Maria Cristina Bandera, composta da più di 150 opere e inserita nella saga dedicata ai grandi dell’arte contemporanea italiana, tra i quali hanno figurato lo scorso anno Mario Sironi e tra il 2012 e il 2013 Renato Guttuso.
E’ un’occasione unica per ammirare le lastre di rame originali da cui l’artista ha tratto poi le sue famosissime acqueforti, che sono esposte in vari esemplari nelle prime sale e che sono una rarità per gli occhi, dal momento che spesso sono rinchiuse in bacheche private o non esposte al pubblico. La tecnica a incisione raffinatissima ha permesso a Morandi di concentrarsi sulla resa perfetta del chiaroscuro e delle varie intensità attraverso cui la luce si propaga nei volumi plastici di bottiglie e tazze, occasionalmente di conchiglie, tabacchiere e frutti.
E in quel valore cromoluminoso nasce l’immagine pittorica, dalle numerosissime nature morte del salone centrale ai paesaggi esibiti al piano rialzato dell’esposizione fino ai fiori.
Perché se i più conoscono essenzialmente le sue tele, è dall’incisione che fondamentalmente si snoda il vincolo problematico dell’essenza dell’artista. Non a caso fu insignito del titolo di docente di grafica d’arte all’Accademia di Belle Arti di Bologna e ricevette il Gran Premio per l’Incisione alla Biennale di San Paolo in Brasile nel 1953, e solo nel 1957 per la pittura.
Sono bottiglie le sue (le famose “bottiglie di Morandi”) che risentono dell’esistenza, di una dimensione emotiva, come se fossero in grado di percepire l’ambiente in cui sono posizionate e nel quale assumono quel particolare rilievo.
<<Erano poveri spunti, cose che non significavano per se stesse, in modo da poterle non fare significare affatto>> ha annotato ancora Brandi, il cui scambio di lettere con Morandi è accostato a quello che quest’ultimo ebbe con Roberto Longhi, figura fondamentale per la rivalutazione di Caravaggio ma anche critico d’arte e grande stimatore dell’operato di Morandi.
Quelle bottiglie non sono, dunque, semplici bottiglie: sono forme che si sottraggono infinitamente ai significati che possono avere nella nostra quotidianità.
<<Si può dipingere ogni cosa, basta solo vederla>> avrebbe detto della sua arte Morandi.
Ma qui la domanda è: siamo noi in grado di vedere?
Francesco Rotatori