
di Marco Poggi
NOSFERATU DI ROBERT EGGERS, 2024
Il conte Dracula è recentemente tornato al cinema, o meglio, il suo omonimo, il conte Orlok, protagonista già di due adattamenti, per il grande schermo, di Nosferatu, il primo, del 1922 (ovvero, 103 anni fa!), interpretato dal lugubre attore Max Schreck (ogni riferimento al personaggio interpretato da Christopher Walken, in “BATMAN IL RITORNO”, del 1992, di Tim Burton, non è affatto casuale!) e il secondo del 1978, dall’altrettanto oscuro Klaus Kinski. Da anni, ormai, si cercava di far tornare il conte Dracula quel personaggio oscuro e terrorizzante, che era agli inizi, e, dopo il fallimento del nostro Dario Argento, con il suo pessimo, “DRACULA 3D”, penso che questo Robert Eggers, non nuovo ai soggetti horror, ci sia riuscito. Per quanto i personaggi abbiano i nomi cambiati, come nelle versioni del 1922 e 1978, la storia è comunque quella del celebre romanzo, scritto da Bram Stoker, e, ad emergere, oltre a un’atmosfera fredda, gotica e lugubre, sono le performance dei protagonisti principali: Bill Skarsgard (noto per “IT PARTE 1 E 2”, di Andy Muschietti, dove impersonava il pagliaccio raccapricciante Pennywise, tratto dal romanzo di Stephen King), che propone un inedito conte Orlok coi baffi, che si vede sempre, o quasi in ombra, e la giovane Lily-Rose Depp (figlia di Johnny!), nel ruolo della sventurata vittima, ruolo un tempo toccato, nel 1978, all’attrice francese Isabelle Adjani e di cui la Depp si dice tragga molto spunto. Fra loro, c’è Willem Dafoe, nei panni del vecchio professore, specializzato nel dare la caccia a questi esseri notturni e malvagi, che chiama, come da titolo, proprio “Nosferatu”.
La prima cosa che balza all’occhio, è che questo conte Orlok non si tramuta mai in pipistrello, ma in raccapriccianti ratti infetti, che terrorizzano navi e città, e persino in lunghe ombre che si stagliano nei cieli notturni. È un essere deforme e con le unghie artigliate, che s’insinua negli incubi delle sue vittime, obbliga loro di soggiacere ai suoi capricci sanguinari, lanciando loro degli ultimatum, facendo strage d’innocenti e non fermandosi, finché non sono le sue stesse prede a fare dei passi indietro e a cedere. In lui, non c’è la ricerca di un amore perduto da secoli, Eggers non è certo Coppola, che, nel suo vampiresco film, del 1992, era fedele a Stoker in maniera ossessiva e fin troppo romantica, ma solo il desiderio di copulare e nutrirsi, apparendo di persona, o usando intermediari impazziti. È un essere senza tempo, un non morto, che deve sempre tornare nel proprio sarcofago, al canto del gallo, per sopravvivere. Con la scusa, di un castello acquistato, nella grande città, il conte scende dalla sua Transilvania, per terrorizzare e uccidere. Eppure, anche se non sembra, il film da una certa importanza ai personaggi femminili, permettendo a quello principale, di Lily-Rose Depp di presentarsi in scena quasi sempre folle e spiritata, quanto il protagonista. Alla fine, è solo un duello fra lei e il conte, dove ci vanno di mezzo il marito (Nicholas Hoult), l’amica (Emma Corrin), il marito dell’amica (Aaron Taylor-Johnson) dell’eroina, con le loro due figlie piccole. A fare da arbitro, il sopracitato professore impersonato da Willem Dafoe, che funge pure da esorcista, o quasi, pur non avendo abiti talari (la scena fra lui e la Depp a letto, è degna de “L’ESORCISTA”, con Max Von Sydow e Linda Blair). A proposito di Dafoe, aveva già avuto a che fare con vampiri e affini, impersonando l’attore Max Schreck (star del film tedesco, del 1922, che si diceva fosse affetto da vampirismo) ne “L’OMBRA DEL VAMPIRO”, del 2000, quindi stranisce non poco vederlo “buono” e alla guida di un manipolo di pochi fidi seguaci, armato di Bibbia, croci, pipa e fede Cristiana.
Un film che, forse, non scalfirà il mito dei precedenti due “Nosferatu”, ma non per questo fatto male, con un cast notevole, buoni costumi d’epoca ed atmosfere adeguate al dramma orrorifico, che viene qui riproposto. Da vedere.
“FLOW UN MONDO DA SALVARE”
I gatti hanno sempre fatto parte del mondo dell’animazione. Spesso sono visti come dei predatori (come i mitici Tom e Silvestro, sempre in caccia di Jerry e Titti), o animali-mascotte, che affiancano i cattivi (vedi Birba del mago Gargamella, dei Puffi, o il gatto Lucifero della matrigna di Cenerentola), o le eroine di svariate serie anime (come Luna e Artemis, di “SAILOR MOON”, o Posi e Nega, de “L’INCANTEVOLE CREAMY”), quasi tutti parlanti, quasi tutti umanizzati. Il gatto di questo “FLOW, UN MONDO DA SALVARE”, (che significa fluire, o seguire il flusso dell’acqua), invece, è un semplice felino come tanti, che vive in una casa di montagna, di un artista che scolpisce gatti, di qualsiasi forma e dimensione, sia con la pietra, che con il legno. Non parla, non consiglia, è solo un animale immerso nella natura; una natura, che, però, si rivolta contro gli stessi animali, perché arriva un’inondazione, che li fa scappare tutti, impauriti. Non si sa chi l’abbia provocata, si sa, però, che è mastodontica, tanto che il gatto, che pensa di salvarsi salendo sopra la scultura più alta e imponente del suo padrone, si ritrova in acqua, rischiando d’annegare, più volte. Il felino, dopo tante fughe, anche da animali e uccelli, che lo spaventano, si ritrova presto, sopra una barca alla deriva, assieme a un cane giocherellone, un lemure cleptomane, geloso degli oggetti che si porta nella sua cesta, un pigro capibara (una specie di tasso) e un uccello serpentario bianco dalle lunghe zampe, che è rimasto ferito, proprio quando ha difeso il gatto da altri suoi simili. Dovranno fare amicizia e sopravvivere, in un mondo desolato, dove le uniche tracce dell’uomo sono la barca, gli oggetti che ha rubacchiato il lemure e le città allagate e devastate. Di tanto in tanto, spunta anche un capodoglio, che fa i suoi salti enormi e ricade in acqua, osservati soprattutto dal curioso gatto. È forse la fine del mondo, visto che di uomini non c’è traccia? Non è dato saperlo, si sa solo che tutto questo è visto, soprattutto, dagli occhi gialli del gattino, di cui subito ci si affeziona, perché quel felino siamo noi, spettatori.
Pellicola del regista lettone Gints Zilbalodis, che si è fatto aiutare anche dai francesi e dai belgi, colpisce perché diversa da tanti prodotti simili, tipo quelli americani della Disney e della Dreamworks, visto che gli animali protagonisti si esprimono come fanno nella vita reale e, quindi non parlano, usando il linguaggio umano. Il film è breve, ma non per questo brutto. Anzi, è maestoso, ben animato, pone parecchie domande e, soprattutto, ha un principio, uno svolgimento e una fine. Non è pensato per aver dei seguiti, né per fare botteghino (se lo fa, però, tanto meglio), è un film d’animazione creato apposta per i Festival del cinema, o per essere mostrato nelle scuole, un film d’autore non banale e intelligente, che si esprime tramite le immagini. Mettere in primo piano l’amicizia fra animali diversi, che si devono aiutare l’un altro, mentre restano nella stessa barca, durante l’inondazione, che ha devastato l’umanità, è una cosa nobile e splendida. C’è anche un finale giusto, positivo e di speranza, il che va bene. È, insomma, un film da vedere, o recuperare assolutamente, una pausa da tanti altri prodotti simili, che può anche essere interessante per gli adulti, oltre che per i bambini. Promosso a pieni voti.
