Riceviamo dal geologo Massimo Di Carlo e pubblichiamo
Come tutti gli anni, con l’arrivo della stagione autunnale/invernale si torna a parlare del problema delle mareggiate. Tuttavia alcune considerazioni vanno fatte anche senza entrare in dettagliate trattazioni tecniche qualitative/quantitative noiose per i più.
Negli anni 70/80/90 abbiamo letteralmente stravolto l’ambiente costiero in una infinità di modi: dalla realizzazione di porti e porticcioli spesso senza una logica se non quella del binomio-ossimoro cemento-progresso, mai più fallimentare fu quest’accoppiata. A distanza di pochi decenni, perché in natura qualche decennio è pressoché il nulla, tutte le scempiaggini ambientali perpetrate vengono al pettine.
Accenno soltanto a due fattori di questo ambiente costiero intrinsecamente delicato e soggetto a rapidi cambiamenti anche senza l’intervento antropico. Con il loro micro-ambiente formato da piante naturali pioniere che attecchiscono nelle dune primarie che poi si trasformano in dune secondarie creando un ecosistema complesso costituiscono una barriera formidabile contro l’erosione, ma naturalmente non ci sono più perché dovevamo costruire a ridosso della linea di battigia porti, stabilimenti, palazzi, etc etc.
Oltre al danno irreversibile anche la beffa in quanto i forti venti da mare non essendoci più le dune dove si depositava la sabbia delle spiagge, portano dette sabbie direttamente sulle strade retrostanti e qui le sabbie andrebbero smaltite come rifiuti speciali con costi considerevoli.
Come seconda ed ultima considerazione accenno soltanto al problema dei ripascimenti, premesso che nessuna opera umano potrà mai opporsi al processo di peneplanazione delle terre emerse che è legato a fattori principalmente geodinamici di molti ordini di grandezza superiore alle nostre capacità. Detto ciò si continuano a spendere miliardi per ripascimenti che servono per ovvi motivi ma hanno un impatto positivo solo nel breve termine e quindi dopo pochi decenni spesso neanche un decennio sono completamente superati dall’azione del moto ondoso.
L’ultimo ripascimento sull’arenile tarquiniese salutato come il salvatore della patria, in realtà non lo era visto che ora si realizzano delle sottospecie di dune costiere artificiali, per preservare gli stabilimenti, il cui risultato spesso è dubbio oltre che visivamente orrendo e senza considerare che è un’altra alterazione del profilo delle spiagge: le avevamo le dune ed erano quelle vere!
Il prelievo delle sabbie nelle cosiddette zone di secca per il ripascimento è stato l’ennesimo approccio frutto di una soluzione che non ha tenuto nel debito conto il significato geomorfologico-ambientale di dette aree che altro non sono che zone dove infrangono e si smorzano le energie delle onde, quindi togliendo le secche arrivano sulla battigia onde con energie molto maggiori e quindi con una elevata capacità erosiva decisamente maggiore di prima.
Quindi ritornando all’origine, si devono sempre valutare gli assetti territoriali non in funzione delle aree di espansione urbanistica, industriale e/o altro ma soprattutto dopo un attento e vero studio del territorio altrimenti staremo sempre a subire catastrofi e costi sociali ed economici elevatissimi. Speriamo che prima o poi “repetita iuvant”.