“Sono incredibilmente contento e orgoglioso di essere il primo tarquiniese a ottenere questo risultato. La Stella era un vero e proprio sogno personale, raggiunto grazie anche alle persone che mi hanno sempre supportato, agli amici, alla mia compagna che mi ha sempre aiutato”: a qualche settimana dal momento in cui sul suo ristorante – Savage, a Oslo – si è accesa la Stella Michelin, lo chef Andrea Selvaggini racconta l’emozione e le sensazioni di un riconoscimento senza pari per chi sceglie la strada professionale della cucina di alto livello.
“È stata innanzitutto una sorpresa, perché non ce lo aspettavamo – spiega Andrea – Non credevamo di aver ricevuto le visite che servono per le valutazioni e, soprattutto, dopo l’ultima visita non avevamo avuto più notizie. Qualche settimana dopo ci avevano contattato per dirci che eravamo sulla Guida e servivano delle foto, ma non pensavamo alla Stella: sino a che una sera, poco più di un mese fa, mi arriva una mail alle undici e mezza di sera e, come si dice da noi, ho letteralmente “sbiancato”! Sono impazzito e sono corso a bere qualcosa con Sebastiano, il mio capo cucina, la prima persona che ho chiamato e con cui ho condiviso praticamente tutto di questa avventura”.
Il traguardo, per Andrea, arriva dopo una gavetta lunga in giro per Italia, Europa e mondo, ma dopo pochi mesi dall’inizio di questa nuova avventura: un percorso che, a questo punto della carriera, ha di certo influenzato la filosofia di cucina che Andrea ha impresso in Savage.
“Dopo tutti i giri che ho fatto – ci spiega – quello che ho scelto di portare in un ristorante mio è stata proprio l’idea di una cucina senza frontiere, in cui non ci siano limiti o etichette. In cucina siamo ragazzi di varie provenienze – indiani, italiani, spagnoli, americolatini… – e con questo background di esperienze all’estero non ho voluto mettere vincoli alla creatività. C’è una sola regola: l’utilizzo di prodotti locali, da piccoli produttori che conosciamo. Chiaro, alcune influenze sono più marcate, in quanto frutto delle nostre esperienze personali: c’è sicuramente un tocco italiano, spagnolo, americolatino, ma anche giapponese e asiatico”.
E se entrassimo a Savage, quale piatto più di tutti, tra quelli che hai ideato, ti piacerebbe farci scoprire (se ce n’è uno) e perché? “I nostri unici piatti firma, quelli che sinora non abbiamo mai cambiato, sono due. Il primo è il Sunfower, il finto girasole partito dall’idea che il ristorante avesse una prima sala in cui fare gli snack che richiamasse un negozio di fiori: purtroppo non ha mai preso piede, per cui abbiamo ideato un fiore che le persone posso mangiare, con croccante di patate, emulsione di ostrica, aneto, gel di champagne e caviale. L’altro è la chela di scampo, che è la proteina più simbolica della Norvegia: di solito si tende a usare quelli più grandi, noi invece abbiamo lavorato di creatività per riuscire a usare tutte le misure degli scampi”.
Al di là del piacere per la ricerca di influenze, quanto del background italiano e della Tuscia ti resta dentro quando lavori?
“Dell’esperienza di vita a Tarquinia – la risposta di Andrea – credo la semplicità e la schiettezza come persona. Che poi è quello che cerco di trasmettere ai ragazzi: di essere persone genuine, di non essere costruiti o montati, cercando di credersi qualcosa che non si è. In fondo, è proprio quando impari a viverti le piccole cose, quelle del quotidiano, che ti godi arrivano il momento in cui arrivano risultati come questo”.
“Pensando invece alla cucina della Tuscia, il sogno invece sarebbe quello di poterla valorizzare: semmai e quando avrò possibilità di tornare, mi piacerebbe esprimere il mio stile con i prodotti della Tuscia. Qualche prodotto della Maremma già lo uso anche qua, ma la nostra linea è lavorare con prodotti freschi, per cui ci rivolgiamo soprattutto a prodotti locali”.
Intanto, sulla porta di Savage arriva la Stella, ma Andrea già guarda al futuro. “Sono così: – ci saluta scherzando – irrequieto! Già subito dopo la premiazione pensavo al prossimo obiettivo da inseguire. Per indole non riesco mai ad essere del tutto contento e cerco sempre di chiedere il massimo da me stesso: spero questo possa aiutarmi a raggiungere altri risultati”.