Alla fine, insomma, ho toppato i miei pronostici: ed avendo il brutto vizio di diffonderli ai quattro venti, devo fare in modo a non aver problema ad ammetterlo.
Ero sì certo di una vittoria di Mauro Mazzola, ma ho sempre creduto che sarebbe arrivata – pur se con estrema facilità – al ballottaggio: per il primo turno immaginavo la coalizione di centro sinistra attorno al 46%, con Alfio Meraviglia alle soglie del 30% e Cristiano Minniti sopra al 10%. Ed invece è un 50 e qualcosa per cento che rimette la fascia tricolore sul petto del primo cittadino sin da oggi, senza l’ulteriore attesa di due settimane.
Per le valutazioni politiche, le analisi del voto e le interpretazioni ci sarà tempo, anche perché queste parole – come le molte altre che ci si scambia, sul tema, in Città – si fondano su dati ancora non ufficiali e che, forse, non lo saranno sino a domani, quando sarà più chiara la confusa situazione verificatasi nel corso dello spoglio e che ha reso le operazioni di scrutinio un vero e proprio calvario. Una prima riflessione, però, viene naturale, e riguarda il grave distacco che il centrodestra tutto accusa, a Tarquinia, nei confronti del centrosinistra.
Dopo anni in cui l’allora asse Forza Italia-Alleanza nazionale sembrava essere una maggioranza forte – molto di più, va detto, a livello di consultazioni nazionali o regionali, perché in ambiti comunali le battaglie sono state sempre abbastanza serrate – le elezioni di due anni or sono all’Agraria e la vittoria di ieri di Mazzola sanciscono una crisi apertissima del centrodestra tarquiniese, certo aggravata dal calo di consenso su scala nazionale ma non imputabile solo ed esclusivamente ad esso.
Anche volendo sommare al risultato di Meraviglia quello di Minniti – e, volendo, l’1 per cento di Calisti – il risultato delle liste riconducibili al centrodestra dà un eloquente 36%, con il Pdl “ufficiale” che supera, ma non di molto, il ribelle Polo di centrodestra (e non è un gran risultato per i Presidenti e gli assessori saliti in Città spendendo la propria faccia per la causa) e l’Udc che perde il confronto diretto con gli “esiliati” del Polo dei moderati.
Le due candidature di Giulivi vissero entrambe – anche se in modo e con risultati diversi – sull’appoggio di circa metà dell’elettorato tarquiniese: nel primo caso, ottenendo il 49% al primo turno, contro una sinistra divisa in due con Piroli e Daga candidati, nel secondo perdendo per una manciata di voti in un ballottaggio di fuoco. Quei tempi, ora, sembrano lontanissimi, e la perdita di un personaggio come Sergio Benedetti, in quest’ottica, ha probabilmente rappresentato un colpo decisivo in un momento già difficile.
Al di là delle discussioni e spaccature, infatti, il centrodestra queste elezioni le ha perse prima di iniziare a pensarci, un po’ per la forza di Mazzola e della sua coalizione, un po’ per le difficoltà che vive e che l’elettorato percepisce.
Da qui la domanda che ho in testa da un po’, e che giro a voi come l’ho girata a lui, ieri, in un momento troppo concitato e confuso per ottenere una risposta: ma ad Alfio, chi l’ha fatto fare?
In queste settimane si è dimostrato ragazzo di valore, anche nelle ore ai seggi ha mantenuto uno stile e ha saputo convivere e sopravvivere ai fantasmi del passato che – come sapeva – gli sarebbero stati evocati contro. Perché, allora, la scelta di rischiare in un clima che – già mesi fa – si intravedeva come molto sfavorevole e, soprattutto, a capo di una specie di Armata Brancaleone?
Gli va dato atto, è certo, del coraggio di mettersi in gioco, e del non essersi nascosto in attesa di una sfida meno difficile. Ma valeva davvero la pena sacrificare la propria immagine in nome e per conto di molti dei personaggi – in cerca d’autore e, soprattutto, di logica e coerenza politica – che ne riempivano le liste?