Riceviamo da Sandro Vallesi e pubblichiamo
Cessati i clamori, conclusi i festeggiamenti, i nuovi amministratori si accingono a salvare l’Università Agraria. Sì perché su un punto i due schieramenti sono stati d’accordo: l’Agraria versa in pessime condizioni. Sul resto totale divergenza: le cause, i responsabili, le cure, i medici.
Io non credo che l’Agraria sia a rischio di vita. È sopravvissuta al fascismo, a Meraviglia, a Giulivi, a tanti che anche a sinistra la considerano un dinosauro. Non ci sono banche o creditori che ne possano sottrarre il patrimonio dichiarato a più riprese inalienabile dalla Corte Costituzionale. Ma un pericolo c’è: è il degrado di questo grande patrimonio terriero, boschivo ed ambientale, conseguenza delle nuove tecniche agricole, della scomparsa degli allevamenti, dell’impoverimento della cultura ambientale.
Basta osservare il nostro territorio per accorgersi che le piante di qualunque specie, ad eccezione di quelle ad alto reddito, sono considerate nemiche. È una conseguenza delle leggi di mercato senza dubbio, ma la risposta che viene data è di sconfitta, non di vittoria, di rinuncia a trovare nuove soluzioni senza essere schiavi degli interessi altrui. Le nostre colline antiche di storia umana, sono infestate dalla cannuccia, le macchie deperiscono per mancanza di bestiame e di cura del sottobosco, i clivi sono un incessante frana che ostruisce i fossi. Certo manca l’uomo, nella forma del pastore, del boscaiolo, del carbonaro, ma soprattutto manca nella forma del buon cittadino.
Seguendo lo schema dell’Agraria malata grave, vorrei offrire alcuni spunti di riflessione, proprio all’inizio di un quinquennio amministrativo tra i più importanti nella storia dell’Ente. La prima cosa da farsi ad un pronto soccorso è dare ossigeno. Per l’agraria la bombola d’ossigeno è la partecipazione. Quando divenni Presidente, una quarantina d’anni fa, la prima cosa che proposi fu quella di ripristinare l’Assemblea degli Utenti, convinto che l’Agraria sta bene se i suoi proprietari si sentono partecipi della sua salute.
Oggi si parla tanto di diritti, noi Tarquiniesi abbiamo la fortuna di averli iscritti nel nostro dna perché li esercitiamo da secoli. Sappiamo però, o dovremmo saperlo, che quei diritti civici non erano calati dall’alto, dalla lungimiranza o generosità di un signore, ma erano conquistati e difesi a costo di dure lotte, ed erano tenuti in vita grazie ad una pratica dei diritti che avviene attraverso la partecipazione cosciente dei titolari.
Oggi l’Assemblea non è più realizzabile in quanto siamo utenti tutti i cittadini, tuttavia il principio della partecipazione rimane essenziale. Si dovrà mettere mano allo Statuto dell’Agraria, anche per recepire i dettati della legge 168/2017. In quella occasione si può introdurre la pratica strutturale dei referendum sulle materie più rilevanti per la vita dell’Ente, aggiungendo che chi dimostra il suo disinteresse per la partecipazione, viene, dopo tre diserzioni ingiustificate, escluso dal diritto di voto, a cui può essere reintegrato solo previa esplicita richiesta.
Sul versante programmatico la rotta dell’Ente dovrebbe virare nella direzione della difesa dell’ambiente. È importante salvare il campeggio, ma è più importante salvare le pinete, quelle a mare, ma non solo. La lotta ai parassiti, la spalcatura, il diradamento, la pulizia del sottobosco, sono pratiche non opzionabili. Ciò vale anche per i nostri boschi cedui e per tutte le aree interessate da alberature. Sarebbe il caso di avviare un nuovo, imponente piano di riforestazione che possa interessare centinaia di ettari attualmente brulli o a rischio idrogeologico: un milione di nuove piante di varie essenze, inclusi ulivi e pinete.
Va però prima risolto il problema della siccità estiva, senza irrigazione nessun rimboschimento andrà a buon fine. Il progetto va pertanto corredato da un’opera idraulica, moderna ed ecologica che sollevando con pompe a vento l’acqua del Marta consenta di accumularla in un apposito bacino, distribuendola a goccia nei momenti di bisogno.
Un altro delicato intervento riguarda il problema delle infestanti vegetali. L’incremento delle superfici irrigate dal Consorzio di Bonifica ha accentuato la distribuzione nel territorio di semi di erbe fluviali che dove non contrastate dalle lavorazioni agricole o dal pascolo ovino, hanno colonizzato ampi territori soffocando le essenze autoctone. Questo problema va tenuto presente in riferimento agli obiettivi di rimboschimento attraverso operazioni di filtraggio dell’acqua e di piani di recupero delle aree interessate, di concerto con la Forestale e il dipartimento di scienze forestali dell’Università della Tuscia. Altri e non meno importarti sono le questioni riguardanti l’Agraria. Ci sarà modo di riparlarne, spero. Per ora grazie.
Sandro Vallesi