di Marco Vallesi
Dell’anno che si chiude tra qualche ora resterà più di qualche cicatrice nel tessuto sociale italiano e, ovviamente, in ogni angolo del territorio o città del Paese.
Il tempo della crisi, creduta o meno, annunciata o no, anche a Tarquinia, lo stiamo vivendo tutti e solo qualche blasfemo ipocrita può negarlo.
In mezzo al bailamme di cifre, statistiche, previsioni di crescita o d’inflazione, qualcuno riesce anche ad essere ottimista solo perché si ripete come un mantra che “peggio di così non può essere”.
Per molti lo scoramento, la sfiducia possono raggiungere livelli davvero preoccupanti quando, quasi per sfinimento, cadono in quel circuito perverso in cui, ad ogni evento negativo, reagiscono con maggiore negatività generandone, di volta in volta, ancora altra ulteriore, progressiva ed esponenziale.
Le tensioni, le preoccupazioni e una certa concitazione possono davvero creare un sistema di autodistruzione incontrollabile.
Di queste preoccupanti note, appare emblematico e fortemente significativo l’esempio che, nella nostra città, ci fornisce il primo cittadino di Tarquinia, Mauro Mazzola, il quale, sembra stia incappando in una tale, critica involuzione.
Infatti, il povero sindaco, rappresentando l’intera popolazione, ci fornisce l’esempio più conclamato del vivere le difficoltà mentre queste si accaniscono, senza soluzione di continuità, su quelli che come lui, non sono riusciti ad arginare gli eventi né le spontanee, sacre ed immancabili critiche e, men che mai, se stessi.
La perversione di questo sistema vuole che, a fronte di una crisi generalizzata si reagisca furiosamente, in assenza di spirito logico e risolutivo dei problemi e che, anzi, il sistema stesso sia alimentato dall’ira o dai sentimenti di vendetta contro nemici spesso inventati e, meno frequentemente, del tutto inesistenti.
Ma, forse, le cause di tutto questo sono meno cervellotiche di questa inclemente analisi dell’agire del nostro primo cittadino.
Forse, si tratta di qualcosa di molto più semplice: magari del comprensibile risentimento per l’ingratitudine che gli hanno mostrato sparuti gruppi di cittadini quando egli, campione della difesa degli interessi della comunità, ha difeso a spada tratta la salute pubblica e non è sceso a patti con gli inquinatori se non per garantire alla popolazione gli indispensabili cestini di ciclamini pensili, le necessarie luci cangianti, le utilissime ed amate “strisce blu”, i portentosi spettacoli d’arte varia e, dulcis in fundo, le svariate e modernissime attrezzature mediche, immancabili in un contesto salubre e salutare come il nostro.
Certo è che, se lui, in prima persona e non per interposti portavoce o ghost-writer, si fosse spiegato meglio, avesse reso più comprensibile il suo ricercato eloquio, livellando l’altezza delle sue comunicazioni a quella più modesta della media intelligenza della cittadinanza, le sue ragioni sarebbero state capite con maggiore profondità e i rapporti tra amministrazione e popolazione non avrebbero preso la piega che hanno preso.
Una volta, ad esempio, mutuando le semplici parole di un certo giornalista, tale Sen. Bonatesta Michele (A.N.) (evidentemente un mentore suo amico..), si fece ben comprendere in replica a chi lo accusava, ingiustamente, di voler prendere del denaro da una società che avrebbe inquinato il territorio. La replica che il sindaco fece sua era diretta e secca e recitava più o meno così: “Mazzola fa bene a prendere i soldi dall’Enel”.
Ecco, fosse stato sempre così diretto, sincero ed esplicito, oggi, non avrebbe accumulato certi problemi.
Non sarebbe stato eletto sindaco dite voi? Non è un problema del nostro primo cittadino: lui il sindaco lo fa per dovere di servizio nei confronti della cittadinanza, mica per sue personali e interessate ambizioni.
Ma la storia che conduce il primo cittadino ad una singolare e surreale solitudine passa anche per l’insostenibile comportamento dei suoi diretti, e anch’essi, presumibilmente, ingrati, alleati.
Gente che da lui, dalla sua schietta e indomabile personalità, ha ottenuto momenti di gloria e di esaltazione nonché potere e popolarità ora cerca di distanziarsene, lo avversa, lo ostacola e, udite udite, minaccia querele e denunce.
Siamo sicuri che al signor sindaco le querele gli faranno un baffo – lui alle querele vi è tanto abituato che le propone come aperitivi – ma il gesto e le parole dei suoi ex-alleati restano e son macigni.
Dovrà, se vorrà ancora avere un futuro come sindaco, affidarsi ai suoi fedelissimi alfieri, sempre ché alla fine della tappa ve ne siano ancora – di fedelissimi, intendiamoci – per strutturare una qualche difesa della sua ormai precaria maggioranza.
Lo immaginiamo, il cittadino primo, spogliatosi del ruolo istituzionale che riveste – lo farà pure qualche benedetta volta anche se ormai sembra essersi così affezionato agli abiti sartoriali tanto da non tagliarne neanche le etichette – sedersi da solo in un posto tranquillo e riflettere su di sé e sulla sua vita grama da amministratore e desiderare di ritornare al passato per nostalgia della giovinezza ma, anche, di un tranquillo e operoso, quanto assai improbabile, lavoro intorno alle scatole dei pomodori.