Uno come Luigi Daga, lo si può ricordare in mille modi. Come giovane Sindaco di Tarquinia, impegnato sui temi ecologisti e instancabile lavoratore, sempre alla ricerca del dialogo con cittadini e istituzioni; come responsabile dell’UPAV che con il suo operato fu capace di restituire forza e dignità agli artigiani viterbesi, abbandonati dalle istituzioni e penalizzati da regole burocratiche capaci di render loro il mestiere molto difficile; come araldo di pace organizzatore di varie missioni in Kossovo, in Palestina, dove esiste una scuola intitolata a lui, in Israele e all’AVAD, insieme all’amico Filiberto Bellucci, intenti ad organizzare soggiorni per orfani, diseredati, vittime di guerra. Lo si può ricordare come Assessore Regionale, immediatamente dimissionario per non voler accettare le infami pastette di una politica sempre più egoista e rapace.
Io lo ricordo come un uomo.
Appena dodicenne, lo andai a trovare a Firenze, ospedale CTO. Gli avevano amputato la gamba da poche ore e quando lo vidi ne rimasi fortemente impressionato. Gigi se ne accorse e cominciò a dirmi che gli prudeva un tallone e a chiedermi se, per favore, potevo dargli una grattatina proprio lì, in quel calcagno che oramai era stato tagliato via fin sopra il ginocchio. Io fingevo di grattare e lui fingeva di provare sollievo. Tutta questa scena per sdrammatizzare. Si preoccupava per me. Con una gamba tagliata, non voleva che provassi impressione, io. Una lezione che imparai bene, tanto che anni dopo, una volta che aveva lasciato la sua protesi sulla spiaggia per andare a nuotare (era un nuotatore abilissimo, a dispetto della sua “mancanza”) gliela rubai nascondendola in un cestino di spazzatura. Rideva e meditava al modo di rifarsi. Sapevo che prima o dopo me l’avrebbe restituita, quella carognata. Si è rifatto combinandomi questo brutto scherzo. Assai peggiore che perdere una protesi.
Perdere per sempre un grande amico.
Attilio Rosati