Riceviamo da Stefano Girardi, sommelier FISAR e scrittore di romanzi storici, e pubblichiamo
È cominciata la kermesse eno-gastronomica del Divino Etrusco e la città di Tarquinia si è abbellita per accogliere i produttori e gli estimatori del nettare di Bacco.
Volendo essere precisi, e questo è il senso di questo intervento, dovremmo parlare del nettare di Dioniso, divinità greca del vino. È dalla civiltà greca infatti che gli Etruschi hanno appreso e personalizzato le tradizioni e le tecniche di produzione del vino, chiamando nella loro lingua il dio del vino Flufuns, mentre Bacco è solo la trasposizione che hanno fatto i romani alla medesima divinità in epoca posteriore.
Ad ogni modo ben ha fatto l’amministrazione locale a organizzare eventi che avvicinano il mondo della produzione a quello del consumo. Quindi onore al Sindaco Giulivi, al suo assessore Tosoni e a tutta l’amministrazione, alla Proloco Tarquinia e alla Direzione museale del Lazio e a tutti i collaboratori per aver organizzato anche in questo momento particolare nuovamente l’evento enologico più importante dell’anno. Non va dimenticato infatti che nell’epoca d’oro della civiltà etrusca, il territorio della maremma Laziale poteva considerarsi dal punto di vista enologico equivalente all’attuale area del Chianti. Rappresentava cioè una delle aree vinicole del Mediterraneo più note ed efficienti sotto il punto di vista produttivo e qualitativo.
Questo primato non è da attribuire a considerazioni campanilistiche ma è documentato dai ritrovamenti archeologici, sia per quanto riguarda le ceramiche rinvenute nelle sepolture, moltissime di provenienza attica e destinate prevalentemente al simposio (cioè al banchetto che si concludeva con una degustazione a base di vini) ma anche per la presenza di molte navi onerarie cariche di vino naufragate nel sud della Francia. Molti di questi naufragi, a Cap d’Antibes, Bon Porté, Point du Dattier e altre località, sono stati rinvenuti lungo l’antico percorso che dall’Etruria i mercanti seguivano navigando a vista delle isole dell’arcipelago toscano e della Corsica. Nei fondali marini sono state trovate navi etrusche con interi carichi di anfore vinarie e vasellame pregiato da mensa. E un particolare tipo di anfora vinaria, denominato di Vulci per indicare la sua zona di produzione, è presente nei ritrovamenti di tutta l’Etruria centro-settentrionale, nell’isola del Giglio e nell’isola d’Elba e appunto nella Francia meridionale.
Perciò è determinante che una città che è entrata di diritto nel Patrimonio Unesco faccia il massimo per valorizzare il suo patrimonio culturale e la propria economia.
Ma allora perché il Divino Etrusco sarebbe alticcio? Beh, basta dare un’occhiata alla grafica utilizzata per segnalare uno scivolone che la città non merita e che è doveroso rettificare.
Le dodici Lucumonie etrusche non sono indicate in nessun documento ufficiale ma la letteratura e gli etruscologi concordano sui nomi più qualificati a entrare nella magica dozzina: Tarquinia, Vulci, Cere e Veio per l’attuale Lazio; Arezzo, Chiusi, Cortona, Roselle, Vetulonia e Volterra per la Toscana e infine Volsini e Perugia per l’Umbria.
Purtroppo la grafica del Divino Etrusco riporta tra le dodici Piombino (?), cita Orvieto e Bolsena come due lucumonie distinte (in realtà la più accreditata storicamente come Volsini sembra essere Orvieto) e non riporta Roselle, la città etrusca che controllava tutta l’attuale piana di Grosseto.
Quindi alla prossima edizione è doverosa una rettifica!
Stefano Girardi
Sommelier FISAR – Scrittore di romanzi storici